Trilogia di New York. Il fascino della scrittura
La Trilogia di New York di Paul Auster comprende Città di vetro, Fantasmi e La stanza chiusa, che Einaudi ha pubblicato in un unico volume, per la prima volta, nel 2005. I tre romanzi possono essere letti singolarmente, perché ciascuno ha una trama compiuta, con un inizio e una fine. Leggerli separati, però, significa perdere la visione di insieme di cui parla l’autore stesso quando, ne La stanza chiusa, ci avverte che
“in sostanza, le tre storie sono una storia sola, ma ognuna rappresenta un diverso stadio della mia consapevolezza di essa.”
I romanzi che compongono questa trilogia sono detective stories ambientate in una New York, a tratti irreale, in un tempo non sempre ben definito. Raccontano la storia di personaggi caratterizzati dalla necessità di risolvere situazioni che stanno all’origine di una crisi esistenziale a tratti portata all’estremo.
Città di vetro racconta la vicenda dello scrittore Quinn che
“cominciò con un numero sbagliato, tre squilli di telefono nel cuore della notte e la voce all’apparecchio che chiedeva di qualcuno che non era lui”.
Fantasmi ha personaggi, per così dire, a colori. Il protagonista è l’investigatore privato Blu, che ha imparato il mestiere da Brown e che è pagato da White per seguire un uomo di nome Black.
Ne La stanza chiusa il protagonista è di nuovo uno scrittore che si sostituisce a Fanshawe, l’amico d’infanzia scomparso, al punto tale da sposarne la moglie e adottarne il figlio. Un’identificazione tutt’altro che facile come vedrete.
La Trilogia di New York può piacere oppure no, ma non può in nessun modo lasciare indifferente il lettore. I tre episodi, che danno origine ai tre romanzi, sono semplici, ma molto articolato è il modo in cui i protagonisti affrontano ognuno la propria vicenda. Tutti e tre rimangono totalmente coinvolti in ciò che accade loro, tutti e tre si immedesimano nel personaggio che accettano di interpretare, tutti e tre si muovono in una città che ha le stesse caratteristiche di un labirinto, tutti e tre credono all’impossibilità di dominare il caso.
“Le nostre vite ci guidano secondo schemi che non possiamo controllare, e con noi non rimane quasi nulla. Le cose muoiono quando noi moriamo, e in verità moriamo tutti i giorni.”
C’è un altro elemento comune ai tre romanzi ed è la scrittura. I tre protagonisti scrivono e due di loro utilizzano un taccuino rosso. La scrittura è vista come atto creativo, ma soprattutto è ciò che permette ai tre protagonisti di sentirsi persone realmente esistenti.
“Come ha detto qualcuno, le storie capitano solo a chi le sa raccontare. Analogamente, forse, le esperienze si presentano solo a chi è capace di viverle.”
La scrittura è una dimensione fagocitante, un’esperienza che richiede isolamento, silenzio, raccoglimento. E in questo troviamo un paradosso a mio parere affascinante: scrivere all’inizio permette ai tre di sentirsi vivi, ma alla fine li rende prigionieri del loro stesso racconto.
“All’inizio, non c’erano che il fatto e le sue conseguenze. La questione non è se si sarebbero potuti sviluppare altrimenti o se invece tutto fosse già stabilito dalla prima parola detta dallo sconosciuto. La questione è la storia in sé: che abbia significato o meno, non spetta alla storia spiegarlo. (…) Perché è proprio quando può succedere di tutto che le parole perdono efficacia.”
P. Auster, Trilogia di New York, Einaudi, 2014, pp. 316, € 12.50