The circle, i pericoli e gli eccessi della condivisione
Mae (Emma Watson) vive una realtà non certo invidiabile: lavora in un call center, ha una famiglia costretta a vivere con pochi soldi, perché il padre, ammalato di sclerosi multipla, non può nemmeno beneficiare di una assicurazione sanitaria. Quando Annie (Karen Gillan) le fa ottenere un colloquio di lavoro presso The Circle, la azienda mastodontica presso cui lavora, Mae non sta nella pelle per la gioia. Le sembra di avere ottenuto l’occasione della sua vita e se la gioca al meglio, visto che viene assunta immediatamente. The Circle è una multinazionale di internet, l’azienda leader mondiale di tecnologia e social media che, grazie a TruYou conta miliardi di iscritti: un solo account, una sola password, una sola identità, una sola possibilità di esistere. Sì, perché entrare a far parte di The Circle, significa entrare in una realtà totalizzante, nella quale tutti sanno tutto di tutti, tutti devono condividere tutto con tutti, tutti devono rinunciare a tutto ciò che è al di fuori del cerchio. “Condividere è prendersi cura”: questo è il motto, il credo in nome del quale, se non condividi tutto di te, allora cosa hai da nascondere? Mae entra molto presto nelle grazie di Eamon Bailey (Tom Hanks), il proprietario di The Circle e la sua carriera è davvero vorticosa. A patto che lei, per prima, accetti di rinunciare totalmente alla sua vita privata, alla sua privacy, e di indossare una telecamera, la SeeChange, attivata per seguirla h24 in ogni suo spostamento, in ogni sua conversazione, in ogni momento della sua giornata, anche il più intimo, fino ad arrivare alla sua famiglia e a Mercer (Ellar Coltrane) che, per colpa di tutto questo, perderà addirittura la vita.
La condivisione di tutto a tutti i costi come un dovere inalienabile, come un modo per combattere l’egoismo e mettersi al servizio dell’umanità. Da questa prospettiva, ovviamente, rinunciare alla propria vita privata risulta una scelta etica e morale inevitabile. La stessa Mae, senza rendersi conto delle implicazioni, sacrifica non solo se stessa, ma anche tutti i suoi affetti più cari, la famiglia, gli amici, fino a non rispettare la malattia del padre, convinta che questa missione sia l’unico modo per rendere il mondo migliore.
Durante il colloquio di assunzione, alla domanda: “Che cosa temi di più?”, Mae aveva risposto “Il potenziale inespresso”. Ecco, sembra che aderire totalmente e incondizionatamente alle regole di The Circle sia l’unico modo per esprimere questo fatidico potenziale. Ma le domande, di fronte a quella che io definirei quasi una setta, o almeno così appare nel film, sono molte.
Davvero ha senso rinunciare a tutto il proprio privato in nome di una causa pubblica, del bene collettivo? Davvero mettere tutto di sé a disposizione di tutti è un atteggiamento funzionale? Davvero è possibile trovare un punto di equilibrio tra gli ipotetici vantaggi di una trasparenza totale e la rinuncia incondizionata alla propria privacy? Davvero il monitoraggio h24 ci rende persone migliori? Davvero sotto i riflettori mondiali ciascuno di noi riesce a rimanere se stesso? Davvero è giusto che tutto ciò che ci riguarda sia patrimonio di tutti? Davvero è giusto accettare l’esposizione mediatica ossessiva in nome di un cosiddetto bene collettivo? Davvero è questo il mondo che vogliamo?
Se penso alla protagonista, devo ammettere che non è un personaggio che riscuote grande simpatia. Appare come una persona fredda e distaccata da tutto; dimostra grande distacco nei confronti di molte situazioni nelle quali, se penso al mio carattere, credo che in pochi resterebbero indifferenti. Non ha nessuna reazione di fronte alla malattia del padre, non esterna dispiacere nel vedere l’amica, alla quale deve questa sua opportunità, completamente travolta dalla situazione, non capisce il desiderio di riservatezza dell’amico Mercer, che secondo me è anche innamorato di lei, e lo costringe a nascondersi e a scappare. Risulta una persona fredda e a tratti cinica, disposta a tutto per quel lavoro. Mi chiedo se abbia davvero capito che cosa significhi una società impostata in questo modo, se davvero sia convita che il controllo totale di tutti verso tutti rappresenti un futuro desiderabile.
Una cosa che mi ha colpito moltissimo nel film è la descrizione della realtà aziendale di The Circle. Tutti i dipendenti e i collaboratori sono totalmente assorbiti dal ‘credo’ dell’azienda, sposano incondizionatamente le condizioni imposte, rinunciano senza nemmeno rendersene conto a tutto ciò che è altro e oltre da The Circle e lo fanno con un entusiasmo, una dedizione e una identificazione ai limiti del fanatismo. Del resto, posso capire che la realtà descritta non possa in nessun modo essere vista e vissuta con indifferenza; contesti come quelli possono solo essere amati o odiati, difesi o contestati, senza mezze misure.
Il film trasmette certezze, descrive il futuro (davvero è progresso?) come un gigantesco “grande fratello” in cui il mondo è una telecamera onnipresente che trasmette la realtà trasformandola in finzione o forse la finzione facendo credere che sia la realtà di ciascuno di noi.
Non ho letto il libro di Dave Eggers “Il cerchio”, da cui è tratto il film. L’ho già comprato e l’ho già iniziato. Sapete perché? Perché il film di James Ponsoldt pone moltissime domande, alcune ormai appartenenti al passato, ma non dà nessuna risposta. Ripropone molte questioni etiche e morali relative al rapporto tra l’uomo e la tecnologia, ma non prende nessuna posizione, non descrive nessuna proiezione possibile. Se pensiamo che il libro di Eggers è del 2013, possiamo dire che, all’epoca, fosse un libro di “quasi fantascienza”, nel senso che molte cose descritte allora non erano già completamente realizzate e quindi reali come adesso. Oggi, pensando a come stanno le cose, questo film classificato come appartenente al genere drammatico, thriller, fantascienza, non è altro che una descrizione, nemmeno troppo convincente, di un presente già per molti aspetti realizzato. Aggiungo che non lo vedo né thriller, né drammatico, né tanto meno fantascientifico.