“La spiaggia”. Un semplice esercizio di stile
“La spiaggia” è un romanzo breve che Cesare Pavese ha scritto dal novembre 1940 al gennaio 1941. L’intera vicenda si svolge tra Torino, dove abita il protagonista, e Genova dove si è trasferito Doro, l’amico di sempre, dopo essersi sposato con Clelia; la spiaggia a cui fa riferimento il titolo compare nel terzo capitolo. Non viene mai nominata, né l’autore fornisce particolari che permettano di identificarla con precisione: si intuisce solo che si trova nella Riviera ligure e farà da sfondo a tutti gli avvenimenti che coinvolgono i protagonisti fino alla fine della narrazione.
I personaggi appartengono tutti alla borghesia benestante e Pavese racconta uno spaccato della loro vita, caratterizzato da un matrimonio in crisi e da intrecci sentimentali piuttosto complessi. Nelle poco più che ottanta pagine di cui si compone “La spiaggia”, non c’è una trama che si sviluppa e porta il lettore da un inizio a una fine. Di fatto, non succede nulla se non una lunga serie di episodi, spesso nemmeno correlati tra loro, che coinvolgono i personaggi a volte in maniera addirittura pretestuosa: Doro, l’amico del protagonista-narratore dipinge per sconfiggere la noia; Clelia, la moglie, appare come una donna volubile e fondamentalmente sola; Guido è descritto come un uomo volgare che ha un’amante di cui si vergogna; Berti, ex allievo svogliato e privo di amor proprio del professore (il narratore stesso) che lo riavvicina sulla spiaggia, perché spera possa fargli da tramite per arrivare a Clelia di cui si è perdutamente innamorato.
Dentro il romanzo, ma in disparte, si pone il protagonista e voce narrante di cui non sappiamo il nome; è una figura totalmente coinvolta nel sistema di relazioni che Pavese crea tra i personaggi, ma allo stesso tempo ne è estranea. È una voce che osserva, racconta e cerca di capire:
La notte, quando rientravo, mi mettevo alla finestra a fumare. Uno s’illude di favorire in questo modo la meditazione, ma la verità è che fumando disperde i pensieri come nebbia, e tutt’al più fantastica, cosa molto diversa dal pensare. […] Da non molti giorni ero al mare, e mi pareva un secolo. Pure non era accaduto nulla. Ma la notte, rientrando, avevo il senso che tutta la giornata trascorsa – la banale giornata di spiaggia – attendesse da me chi sa quale sforzo di chiarezza perché mi ci potessi raccapezzare.
Pavese, per primo, non ha una grande opinione di questa sua opera di cui dice:
La spiaggia […] il mio romanzetto non brutale, non proletario e non americano – che pochi per fortuna hanno letto – non è scheggia del monolito. Rappresenta una mia distrazione, anche umana, e insomma, se valesse la pena, me ne vergognerei. È quello che si chiama una franca ricerca di stile.
Non so se realmente pensasse questo, sta di fatto che “La spiaggia” è un romanzo di altissimo livello. Quello che mi colpisce è la capacità narrativa dell’autore, la sua bravura nella creazione e caratterizzazione dei personaggi, l’abilità nel raccontare una storia senza trama.
In queste poche pagine, lo scrittore riesce a narrare uno spaccato temporale della vita dei protagonisti in cui anche il nulla che accade ha un suo senso, una ragion d’essere. In questo romanzo Pavese anticipa alcune tematiche che saranno il filo rosso di tutta la sua produzione (la difficoltà della vita, la solitudine, l’amore) e lo fa con una abilità straordinaria. La forza di questo scritto sta anche nel fatto che l’autore racconta con una prosa che va dritta al cuore, ma ciò che è davvero importante è anche tra una parola e l’altra, nelle pause di silenzio, nei non detti, nella lentezza dello scorrere del tempo, nel nulla che accade.
Mozart diceva che la musica più profonda è quella che si nasconde tra le note. Cesare Pavese dimostra la veridicità di questa affermazione in riferimento alla letteratura: tra una parola e l’altra, anche se strettamente legate, c’è un mondo di significati. Per fare un esempio solo, l’importanza dell’amicizia che lega da sempre il protagonista a Doro è raccontata attraverso la sua assenza. Il lettore la percepisce nel momento in cui i due personaggi sono separati, lontani, non solo fisicamente ma dal punto di vista emotivo e raggiunge il suo culmine nell’affermazione:
Ciò di cui sono certo è la gioia, l’improvvisa beatitudine, che provai tendendo la mano a toccare la spalla di Doro. Ne sentii il sussulto nel respiro, e improvvisamente gli volli bene perché dopo tanto tempo eravamo tornati insieme.
Mi piace molto Pavese, è un autore che tutti dovremmo leggere, perché arricchisce e chiede al lettore una grande assunzione di responsabilità: immergersi nella sua scrittura significa dover imparare a cogliere ciò che non è scritto, leggendo con attenzione rigorosa quello che è scritto.
Conrad affermava che
si scrive solo una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore.
Nel caso di Pavese, la metà non scritta di cui ci dobbiamo occupare noi è tra una parola e l’altra.
C. Pavese, La spiaggia, Einaudi, 2017, pp. 120, € 10.00