Il sogno della macchina da cucire
Bianca Pitzorno è una autrice straordinaria conosciuta soprattutto per i suoi libri per ragazzi. “Il sogno della macchina da cucire” è per adulti, ma è scritto con la stessa delicatezza e con la stessa passione con cui sono scritte le storie per ragazzi, che peraltro io consiglio tutte, senza eccezioni.
Le storie e i personaggi di cui tratta questo libro sono frutto di fantasia.
Ogni episodio però prende lo spunto da un fatto realmente accaduto di cui sono venuta a conoscenza dai racconti di mia nonna, coetanea della protagonista, dai giornali di allora, dalle lettere e cartoline che lei aveva conservato in una valigia, dai ricordi e aneddoti del nostro ‘lessico familiare’. Io ho rielaborato i fatti, ho riempito i vuoti, inventato dettagli, giunto personaggi di contorno, talvolta cambiato finali. Però fatti del genere di quelli che leggerete un tempo succedevano davvero, anche nelle migliori famiglie, come dice il vecchi adagio.
Ne “Il sogno della macchina da cucire”, quindi Bianca Pitzorno vuole raccontare delle storie partendo da una realtà, quella delle ‘sartine a giornata’ che era comune nell’immediato dopoguerra e di cui oggi si rischia di perdere il ricordo. Era ben più di un mestiere: era l’arte di saper recuperare e riutilizzare tessuti e vestiti già esistenti per crearne di nuovi in un ‘epoca in cui i grandi magazzini non esistevano e la ricchezza era solo di pochi.
Bianca Pitzorno intreccia cinque storie che la protagonista, che è anche la voce narrante, vive e racconta. Sono tutte ambientate nei primi anni del Novecento in cui la protagonista vive con sua nonna, dalla quale impara i trucchi del cucito.
Mia nonna era analfabeta. Non si era mai potuta concedere il lusso di andare a scuola e adesso, nonostante lo desiderasse, non poteva concederlo neppure a me. Bisognava che imparassi presto ad aiutarla e che dedicassi al lavoro tutto il mio tempo.
A quell’epoca più importante di ogni altra cosa era imparare un mestiere con il quale poter avere la propria indipendenza; l’appartenenza a un ceto sociale o a un altro era ciò che decretava cosa si poteva fare oppure no, cosa aveva senso imparare e cosa no, quali aspirazioni permettersi e quali no. Già da qui si intuisce l’importanza de “Il sogno della macchina da cucire”: Bianca Pitzorno inserisce nel contesto storico vero di quegli anni, personaggi di fantasia attraverso i quali descrive aspetti reali del tempo. Le protagoniste sono tutte donne e ciascuna di loro è descritta con attenzione e ha caratteristiche solo sue sia fisiche che morali. C’è la signorina Ester, che sarà amica della protagonista per tutta la vita, e che scopre a sue spese quanto possa essere crudele un marito in nome dell’apparire e dell’appartenenza sociale. Ci sono le donne della famiglia Provera, disposte a tutto pur di far credere di potersi permettere lussi, in realtà ben al di sopra delle loro possibilità. C’è la Miss americana, Lily Rose, “l’insegnante di inglese della signorina Ester”, completamente emancipata e, proprio per questo, additata da tutti come una poco di buono; una donna che indossa gonne a pantalone per poter andare in bicicletta – cosa scandalosa – che gira il mondo da sola, senza marito, e che vive del suo lavoro di giornalista incomprensibile alle donne del paese, ma molto apprezzato oltre oceano. C’è donna Licinia, la capostipite dei Delsorbo, famiglia aristocratica e di antichissima stirpe, disposta a tutto pur di mantenere incontaminata la sua discendenza. Disposta a tutto a tal punto da mettere nei guai la protagonista, perché sospettata di ambire a fidanzarsi con il nipote Guido, destinato a ben altro futuro. Ogni personaggio rappresenta un aspetto della vita e della società del periodo che “Il sogno della macchina da cucire” racconta. Ogni personaggio permette di riflettere sui meccanismi che governavano il mondo appena cento anni fa: la rigidità dell’appartenenza a un ceto sociale, la differenza nello stile di vita tra ricchi e poveri, l’importanza dell’apparire e non dell’essere, il condizionamento rappresentato dall’opinione che gli altri hanno di noi, le aspettative lecite o illecite verso il futuro, la difficoltà dell’emancipazione femminile in un mondo in cui l’indipendenza della donna è vista come segno di poca serietà. A dare forza e realismo agli episodi raccontati c’è la descrizione degli ambienti in cui i personaggi vivono. Gli ambienti, le situazioni, le scene, le circostanze sono descritte con una tale precisione e con una attenzione alle parole utilizzate che anche a noi lettori sembra davvero di essere a fianco dei protagonisti. Anche ciò che è di fantasia sembra il ricordo vivido e dettagliato di una situazione realmente accaduta e vissuta dai personaggi. Forse in questo emerge l’abilità della Bianca Pitzorno narratrice di storie per ragazzi; i particolari raccontati sono molti, ma tutti hanno una loro ragion d’essere, una funzione non solo esornativa all’interno di quadri che mettono in evidenza l’importanza delle sfumature, il potere che hanno gli eventi di modificare le nostre abitudini, l’imprevedibilità del futuro, dove tutto ciò che non è accaduto in una vita può succedere in cinque minuti.
A me piacciono molto le storie di donne e mi piace anche quando sono ambientate in epoche che non sono la mia. “Il sogno della macchina da cucire” è in realtà il sogno di una categoria di donne, le ‘sartine a giornata’, per le quali, possedere una macchina da cucire significava essere un passo avanti a chi non l’aveva, poter svolgere più lavori in meno tempo e soprattutto lavori che il cucire a mano rendeva inaccessibili. Bianca Pitzorno con questo libro ci regala storie con un grande potere evocativo, raccontate con delicatezza, ammirazione e rispetto per un’epoca che non c’è più, ma che è un vero peccato si cancelli anche dalla nostra memoria. Mi piace vederlo anche come un omaggio alle nonne e alla loro importanza nella vita di tutti.
B. Pitzorno, Il sogno della macchina da cucire, Bompiani, 2018, pp. 240, € 16.00