La signora Dalloway
La Signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei
Comincia con questa semplice frase una delle più lunghe e affascinanti giornate della letteratura mondiale: il 13 giugno 1923, quando Clarissa, la Signora Dalloway, decide di organizzare una festa a casa sua per la sera stessa alla quale parteciperà la Londra bene.
Tra gli invitati ci sono anche Peter Walsh, l’amante respinto e Sally Seton, l’amica amata più di ogni uomo. In parallelo, per le strade di Londra, si aggira Septimius Warren Smith, reduce di guerra irrimediabilmente traumatizzato da quella esperienza e deuteragonista del romanzo che nulla sembra avere a che fare con Clarissa, ma con la quale comunica in modo intenso e incessante sia pur da lontano. Una comunicazione che raggiungerà il suo culmine proprio durante la festa che Clarissa ha organizzato.
‘La signora Dalloway’ è un romanzo caratterizzato da introspezione psicologica più che dal succedersi di avvenimenti. Non accade nulla di straordinario; è la lunga descrizione di una giornata del tutto ordinaria raccontata al lettore attraverso lo sguardo della protagonista.
La vera grande straordinarietà di questo classico della letteratura mondiale sta nel fatto che ‘La Signora Dalloway’ cambia per sempre il concetto di romanzo. Lo ripeto di nuovo: è la storia della protagonista che decide di voler dare una festa in una serata di giugno.
Un evento ordinario, di nessuna rilevanza, che diventa degno di un romanzo.
Per la prima volta ci troviamo di fronte a una dimensione del tutto soggettiva che l’autrice utilizza per raccontare una situazione fattuale, oggettiva. Un 13 giugno 1923 qualsiasi, dal mattino alla sera, raccontato dal punto di vista dei personaggi che compaiono e scompaiono secondo una scansione temporale anch’essa del tutto nuova, interamente giocata al presente, che consente ai personaggi di dialogare tra loro, ma anche con il lettore. C’è una doppia scansione del tempo: quello oggettivo, definito dagli onnipresenti rintocchi del Big Bang, e quello soggettivo, interiore, in base al quale ciò che accade si dilata o si restringe a seconda delle circostanze. Ogni personaggio ha un suo tempo psichico che fa da filtro per l’interpretazione della temporalità oggettiva.
Nel ‘Diario di una scrittrice’ è la stessa Virginia Woolf che riassume gli intenti che si prefigge con la scrittura di questo romanzo:
Voglio dare la vita e la morte, la saggezza e la follia; criticare il sistema sociale e mostrarlo nell’opera, nel momento di massima intensità.
È tutto funzionale a questa dichiarazione di intenti: ciò che accade, il modo in cui accade, come i personaggi vivono la giornata, che interpretazione danno alla scansione del tempo oggettivo – l’onnipresente Big Ban – e di quello soggettivo. Non possiamo dimenticare che mentre Virginia Woolf scrive ‘La signora Dalloway’ sta leggendo Proust dal quale è profondamente condizionata proprio nella percezione del tempo interiore; è per merito della Recherce che la scrittrice fa sì che Clarissa lodi il presente, perché ama il passato.
Un romanzo rivoluzionario che dimostra come la parola, verso la quale Virginia Woolf nutre fiducia incondizionata, deve essere capace di catturare la vita, l’essenza dell’esistenza, ma anche la morte, non intesa come il contrario della vita stessa, ma come il suo naturale aspetto complementare.
Ho amato molto questo romanzo, anche se la sua lettura, per certi aspetti non è per nulla semplice; è una bella sfida nella quale mettersi alla prova per comprendere la complessità dell’animo umano e l’importanza del tempo interiore. Virginia Woolf, con ‘La Signora Dalloway’ dimostra come non esistano situazioni o fatti che non abbiano la dignità di essere raccontati. Una festa qualsiasi può diventare un grande avvenimento degno di un romanzo che è un classico della letteratura mondiale di tutti i tempi. Una festa qualsiasi è un espediente competitivo che ha una sua ragion d’essere nella misura in cui l’autore che decide di raccontarla lo faccia con onestà di intenti.
Perché se accettiamo che qualsiasi avvenimento sia o possa essere una metafora della vita, occorre che chi scrive si relazioni al lettore in modo onesto e consapevole.
V. Woolf, La signora Dalloway, Feltrinelli, 2013, pp. 224, € 9.00 (a cura di N. Fusini)