Le sette morti di Evelyn Hardcastle
“Le sette morti di Evelyn Hardcastle” è il romanzo di esordio di Stuart Turton. Un libro di fronte al quale è impossibile rimanere indifferenti: lo si ama o lo si odia, non può essere diversamente. Non è una lettura facile e non è nemmeno breve, ma è talmente avvincente che, una volta iniziata, è davvero difficile interromperla.
“Dimentico tutto tra un passo e l’altro.
«Anna!» Mi ritrovo a gridare, per poi chiudere la bocca di scatto, sorpreso.
Ho il vuoto nel cervello. Non so chi sia Anna, né perché stia chiamando il suo nome. Non so nemmeno come abbia fatto ad arrivare qui. Sono in un bosco, e mi proteggo gli occhi dalla pioggia sottile. Sento il cuore che batte all’impazzata. Puzzo di sudore e mi tremano le gambe. Devo aver corso, ma non ricordo perché.”
L’inizio è questo, senza preamboli, con il narratore protagonista completamente disorientato; non ricorda niente di sé e si ritrova in mezzo a un bosco nei panni di una persona che non è lui. Un incipit spiazzante nel quale il protagonista e il lettore sanno esattamente le stesse cose e vivono le medesime sensazioni. Occorre un po’, circa un centinaio di pagine, per scoprire, insieme al protagonista, che si chiama Aiden Bishop e per rendersi conto che è costretto a rivivere per otto volte consecutive sempre gli stessi avvenimenti che culminano con l’uccisione di Evelyn Hardcastle sempre nello stesso luogo alla stessa ora e con la stessa modalità. Avvenimenti uguali, ma vissuti ogni giorno nei panni di un personaggio diverso, con l’obiettivo di entrare nel meccanismo e scoprire chi è responsabile del delitto. La storia dura otto giorni e sette notti o un solo giorno preceduto dalla sera del delitto? Una lettura labirintica in cui il protagonista è uno, ma veste i panni di otto personaggi; il delitto è uno solo, ma rivissuto sette volte; il colpevole uno solo, ma le piste possibili per la sua individuazione sono otto. Obiettivo del gioco è individuare il colpevole per interrompere questo loop temporale e guadagnare la libertà da un ingranaggio spietato.
Occorre molta concentrazione per non perdersi nei meandri di questo affascinante enigma; Stuart Turton ha congegnato la trama in maniera magistrale e nulla, nemmeno il più piccolo particolare, può essere trascurato per tentare di arrivare alla soluzione. Tanti personaggi, molte personalità, una sequenza temporale per niente lineare, un protagonista che racconta e agisce nei panni di altri, ma tentando di rimanere se stesso.
“Le sette morti di Hevelyn Hardcastle” è una sfida di lettura che inizia sul divano o alla scrivania, dipende dalle abitudini di lettura, ma che catapulta praticamente subito a Blackheath House. La maestosa villa di campagna è pronta ad accogliere gli invitati al ballo in maschera indetto da Lord Peter e Lady Helena Hardcastle, ma è anche lo scenario all’interno del quale si svolge il tragico gioco delle sette morti di Evelyn Hardcastle. Che Stuart Turton volesse scrivere un romanzo in cui anche il lettore è protagonista si evince dal fatto che non esiste un indice dei capitoli e che gli unici aiuti concessi sono la mappa della villa e l’elenco degli invitati alla festa. Un libro che cattura e irretisce dall’inizio, che impone di entrare nel gioco o di abbandonarlo fin da subito. Il burattinaio, colui che tiene le fila di tutto c’è, ma non può essere il lettore, quindi o si gioca o si abbandona.
Se posso dare un consiglio a chi deciderà di leggerlo è questo: cercate di resistere alla tentazione di leggere la bandella in cui si racconta qualche particolare della trama, perché pur non svelando nulla, toglie parte del piacere di seguire gli indizi per scoprire progressivamente dove ci si trova e cosa sta accadendo. Questo romanzo più che letto va vissuto; è una indagine da condurre insieme al protagonista, una sfida, un gioco, con una posta in palio molto alta, per orientarsi nel quale occorre essere giocatori davvero abili e attenti ai particolari.
S. Turton, Le sette morti di Evelyn Hardcastle, Neri Pozza, 2019, pp. 526, € 18.00 (trad. F. Oddera)