‘Sete’. La notte prima della crocifissione
Ho sempre saputo che mi avrebbero condannato a morte.
Inizia così ‘Sete’, il nuovo romanzo di Amélie Nothomb pubblicato dalla casa editrice Voland. Un incipit lapidario, una affermazione che non fa una piega e alla quale non c’è niente da aggiungere. Chi la pronuncia è Gesù, protagonista e narratore della storia. Il tempo del racconto è preciso: Gesù ci racconta la notte prima della sua crocifissione, quella che nei Vangeli non esiste, semplicemente perché è raccontata, quando lo è, in un modo ben diverso da quello che la Nothomb sceglie di rivelare attraverso la testimonianza del protagonista. Pilato, una volta emessa la condanna, avrebbe potuto eseguirla subito, ma no, decide di aspettare il giorno dopo, per far provare al condannato un sentimento potente e umano, molto umano: la paura.
Sono un uomo, niente di ciò che appartiene all’umano mi è estraneo.
Amélie Nothomb compie una scelta precisa, per alcuni senza dubbio blasfema, ma di certo interessante: vuole raccontare “la notte prima” di Gesù uomo, permettere a noi lettori di riflettere su quanto sia stato difficile per l’uomo Gesù, lo ribadisco, trasformarsi nel Cristo. Sa tutto, sa che ciò che è deciso dal Padre deve compiersi, ma l’obbedienza di fronte all’inevitabilità del destino è caratterizzata dalle difficoltà di affrontare il tutto partendo proprio da una condizione di totale, profonda umanità.
È con scelta del punto di vista che Amélie Nothomb riesce a ricreare, in ‘Sete‘ quella tensione narrativa che di certo non può trovare spazio nelle vicende che si sa bene come si sono svolte. Non c’è nulla che il lettore non sappia già, se non, appunto, i sentimenti del protagonista. ‘Sete’ è il romanzo con cui la Nothomb mette noi lettori faccia a faccia con il Gesù che si è fatto uomo. È un romanzo interiore, nel quale i fatti hanno la funzione di mettere in evidenza i sentimenti, gli stati d’animo. Questo Gesù ci ricorda quelli di Nikos Kazantzakis de ‘L’ultima tentazione di Cristo’ e di José Saramago de ‘Il Vangelo secondo Gesù Cristo’.
Già il titolo è indice di quella profonda umanità di cui parliamo: per provare sete occorre avere un corpo, così per capire davvero cosa sia l’amore non si può non essere umani, a volte troppo umani. Disprezzo, rabbia, paura, perdono, amore, tutti sentimenti che necessitano della presenza del corpo; ecco perché l’incarnazione è quel passaggio che permette a Gesù di poter vivere questa situazione e, allo stesso tempo di imparare a comprendere sentimenti e sensazioni che nemmeno Dio può capire appieno, semplicemente perché privo di corpo.
Il mio trio vincente – amore, sete, morte – insegna tre modi per essere tremendamente presenti.
Avere sete, amare Maria Maddalena, provare disprezzo per i suoi accusatori, quegli stessi che lui durante la sua predicazione ha miracolato: è questo che fa dire al nostro protagonista che forse tutta questa sua missione di “idiota venuto a predicare l’amore”, vicenda necessaria per salvare l’umanità può avere un minimo di senso.
‘Sete’ è un romanzo che si legge tutto d’un fiato; potrei dire – rimanendo all’interno della metafora scelta dall’autrice – che si beve in un unico sorso; ma quell’unico sorso non estingue la sete, anzi. La necessità è di leggere e rileggere, tornando su ogni singola frase, per entrare in confidenza con il protagonista della storia, l’uomo più conosciuto di tutti i tempi.
Io consiglio di prolungarla. Che l’assetato ritardi il momento di bere. Non indefinitamente, ovvio. Non si tratta di mettere la propria salute in pericolo. Non chiedo di meditare sulla propria sete, chiedo di sentirla a fondo, corpo e anima, prima di estinguerla.
Questo è il consiglio che Gesù dà al lettore e io non posso che sottoscriverlo. Per estinguere la sete, in questo caso, occorre bere molto, dove bere è sinonimo di leggere.
A. Nothomb, Sete, Voland, 2020, pp. 109, € 16.00 (trad. I. Mattazzi)