Una scrittura femminile azzurro pallido
Si dice che l’abito non faccia il monaco, ma per Leonida, il protagonista di “Una scrittura femminile azzurro pallido”, non è del tutto vero. La sua fortuna infatti comincia da un frac, ricevuto in eredità da un compagno di studi ebreo e morto suicida. È indossando quel frac che lui, da insignificante precettore figlio di un professore di ginnasio, ha accesso agli ambienti della Vienna che conta e ottiene alcune potenti raccomandazioni che gli aprono le porte di una tanto onorata quanto ambita carriera statale.
A coronamento di questa scalata sociale, il matrimonio con la ricchissima e meravigliosa Amelie Paradini. Il romanzo, ambientato nel 1936, inizia esattamente il giorno del cinquantesimo compleanno di Leonida che ormai è un alto funzionario ministeriale e che, in virtù del suo matrimonio e del suo prestigioso incarico, si sente a tutti gli effetti un uomo arrivato. Al tavolo della prima colazione, Leonida guarda tutte le lettere di auguri che ha ricevuto e tra le tante, spicca una busta scritta con “una scrittura femminile azzurro pallido” che riconosce immediatamente ed è come se, in un certo senso anticipasse al protagonista il suo stesso contenuto. Di fatto, la scrivente, chiede, con un tono del tutto formale, di aiutarla e favorire l’iscrizione in una prestigiosa scuola viennese di un giovane diciottenne tedesco a lei molto caro. Però, a scrivere questa lettera è lei, Vera. È la donna con cui Leonida ha avuto una relazione intensa diciotto anni prima, nel suo primo anno di matrimonio con Amelie. È la donna ebrea, colta e intelligente, che lui ha amato alla follia, con quel coinvolgimento totale che solo l’amore vero rende possibile. Ma è la stessa donna che lui ha abbandonato per tornare alla sua tranquillizzante vita matrimoniale. Un addio impietoso, perché pieno di false promesse, a seguito del quale Leonida non ha mai più cercato Vera e ha seppellito la loro storia “come una tomba interrata che nessuno riesce più a localizzare”.
Da questo momento Leonida inizia un dialogo serratissimo con la sua coscienza che, per certi aspetti, diventa la protagonista vera della storia. Il passato si ripresenta come una terribile minaccia di distruzione di un presente che appare, all’improvviso, estremamente precario ed effimero. Il senso di colpa e la consapevolezza della sua vigliaccheria diventano i filtri interpretativi attraverso i quali Leonida rilegge gli avvenimenti della sua vita lontana.
“Avere un figlio non è cosa da poco. Soltanto quando ha un figlio l’essere umano è irrimediabilmente gettato nel mondo, spietatamente inserito nella catena delle cause e degli effetti. Tutti noi siamo chiamati a rispondere di quello che facciamo. Non si dà soltanto la vita, ma la morte, la menzogna, il dolore, la colpa. Soprattutto la colpa!”
Il giovane diciottenne per il quale Vera gli chiede aiuto, diventa nella lettura del suo senso di colpa, il frutto di quella loro relazione appassionata. Leonida trascorre il resto della giornata all’interno di un dialogo serrato con la sua coscienza in cui vaglia, una dopo l’altra, tutte le possibili soluzioni per cercare di non perdere i diritti acquisiti e mantenere il suo status sociale, precario come un castello di carte costruito sulla menzogna. Leonida appare come un debole, nella realtà e anche nel pensiero. È un insieme di circostanze fortuite che decreta il suo successo e la sua affermazione sociale. La lettera di Vera, il riemergere del suo passato, in fondo potrebbero essere una opportunità di riscatto dalla vigliaccheria che lo contraddistingue, ma il protagonista dimostra di non avere la forza di cogliere questa opportunità per trasformarsi nel vero protagonista della sua vita. Il vero dramma di Leonida è l’incapacità di decidere, anche nel processo immaginario intentato a se stesso, se riconoscersi e dichiararsi colpevole o auto assolversi appellandosi a mille attenuanti che lo rendono vittima di una situazione ingiusta.
Una vicenda questa dai risvolti indubbiamente meno drammatici, ma che mi ricorda un romanzo che ho amato e che amo ancora moltissimo: Delitto e castigo di Dostoevskij. Anche in quel caso la lotta del protagonista è contro il senso di colpa che, una coscienza impietosa, gli ripropone fino alla patologia. Raskol’nikov tormentato dalla consapevolezza di non essere nemmeno all’altezza di ciò che ha fatto, ammette la sua colpa, si costituisce e arriva al riscatto spirituale. Quale epilogo invece per Leonida?
F. Werfel, Una scrittura femminile azzurro pallido, Adelphi, 2008, pp. 131 € 10.00