Professione Food Writer. Ricettario di scrittura con esercizi sodi, strapazzati e à la coque
“Come illustrerò la professione del food writer? Mi servirò di un classico menù all’italiana: antipasto, primo, un paio di secondi, contorno e dolce. Non prima di averti fatto accomodare al desco, con un’ampia tovaglia e un impeccabile servizio di stoviglie per l’occasione.”
Mariagrazia Villa ci dice subito come funziona il suo libro “Professione food writer. Ricettario di scrittura con esercizi sodi, strapazzati e à la coque”.
È un menù degustazione che prevede sei portate tutte rigorosamente da assaporare con grande attenzione, perché nulla è lasciato al caso e di nessuna si può fare a meno senza rinunciare a un’esperienza gastronomica unica.
Prima di passare alle sei portate, però, occorre fare una precisazione, onde evitare di creare inutili fraintendimenti:
“Come uno chef, prima di avere un taglio di capelli all’ultima moda, dovrebbe imparare a pelare una cipolla, così un food writer, prima di andare in giro a fare il fenomeno da programma televisivo, dovrebbe imparare a scrivere qual è senza apostrofo”.
Questo significa che stiamo per affrontare un libro di piacevolissima lettura, che richiede però molta concentrazione, perché costruisce la professione del food writer partendo dai fondamentali.
La Crema fritta con gallette ai cinque cereali è la prima portata, che spiega il perché della scrittura enogastronomica. Le Pagine rigate alla mediterranea sono dedicate al rapporto tra food writing e cultura editoriale, perché non c’è un solo modo di raccontare il mondo enogastronomico; decidere di fare questa professione significa imparare molte tecniche ognuna delle quali si avvale di strumenti specifici che solo apparentemente sono semplici da acquisire. I Bocconcini di blog con articoli al forno scandagliano il dialogo tra food writing e giornalismo, mentre la Farinata social con claim trifolati introduce il tema della comunicazione del cibo con un taglio aziendale. La Fresca misticanza di destinazioni è un affondo nel turismo, contenitore decisamente appetitoso per chi vuole cimentarsi nello storytelling enogastronomico. Non può mancare il Tiramisù perbene con peccato di gola, perché
“comunicare bene non è la ciliegina sulla torta, è la torta stessa”.
Vi chiederete che fine abbia fatto il caffè. Tranquilli c’è anche quello e scoprirete che anche per fare un buon caffè occorrono ingredienti accurati e tanto tanto esercizio.
Mariagrazia Villa ha costruito un menù perfetto, in cui tutte le ‘portate’ sono legate le une alle altre da un filo rosso davvero di grande valore: la costruzione etica della consapevolezza da parte di chi decide di cimentarsi in questa professione. E siccome nessuno nasce imparato e, anche se acquistiamo il miglior ricettario del mondo, non significa che, al primo tentativo, riusciamo a replicare le prelibatezze accuratamente descritte in esso, “Professione food writer”, alla fine di ogni capitolo-portata, propone esercizi utili a verificare se davvero abbiamo capito.
Vorrei uscire un momento dalla metafora del menù degustazione, perché questo libro è ben più di un pasto, non importa se pranzo o cena. Questo manuale è un percorso che
“tratta un argomento che coinvolge questioni culturali, sociali, economiche, politiche, ambientali, artistiche, religiose, spirituali, etniche, mediatiche, etiche e, chi più ne ha, più ne metta”.
Il cibo non è più (forse non lo è mai stato) solo un mezzo attraverso il quale far fronte a un’esigenza primaria che Maslow ha piazzato alla base della sua ormai abusata piramide dei bisogni. Il cibo è trasversale alla piramide, perché parlare del cibo che mettiamo nel piatto, significa parlare anche di chi lo ha cucinato per noi e, ancora prima, di chi lo ha coltivato o allevato. La scelta di cosa mangiare o no è un fatto culturale, religioso, etico, sostenibile. Siamo responsabili di ciò che mettiamo nel piatto e di come lo raccontiamo. Il cibo è un perno attorno al quale ruota gran parte del nostro vivere civile ed è ben di più di un atto privato. È nutrimento fisico e dell’anima, personale e sociale, sempre meno privato e sempre più mediatico e sotto gli occhi di tutti.
Mariagrazia Villa affronta il cibo, mangiato e raccontato, da molti punti di vista e il suo “Professione food writer. Ricettario di scrittura con esercizi sodi, strapazzati e à la coque” è un’esperienza sensoriale, razionale, ma prima di tutto etica, attraverso la quale noi lettori diventiamo più consapevoli.
Vorrei proporvi io un esercizio da fare. Arrivati alla fine del libro, tornate alla copertina e trasformate il titolo da “Professione food writer” a “Professione writer”. Rileggete i capitoli con attenzione e scoprirete che le regole e i suggerimenti contenuti valgono sempre, a prescindere dal tipo di scrittura tecnica o non alla quale vogliate dedicarvi o che vogliate imparare.
Etica e consapevolezza sono due valori universali senza i quali qualsiasi cosa mangiamo o descriviamo non otterremo altro che effetti mediocri e discutibili.
M. Villa, Professione Food writer. Ricettario di scrittura con esercizi sodi, strapazzati e à la coque, Flaccovio editore, 2018, pp. 306, € 28.00