Prigionieri del presente. Come uscire dalla trappola della modernità
Il tempo è, da sempre, una categoria che ci affascina e della quale, in tutte le epoche, abbiamo cercato di dare una spiegazione di senso. Sant’Agostino sosteneva di sapere cosa fosse il tempo a patto di non doverlo spiegare; Seneca era concentrato sulla sua fugacità e sull’importanza di non sprecarlo. Ancora prima, Orazio ci esortava al ‘carpe diem‘ ovvero a cogliere il giorno (non l’attimo, ma l’oggi), nella consapevolezza che il passato è passato e il futuro non è prevedibile. “Prigionieri del presente” di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo, edito da Einaudi, è un libro davvero interessante che indaga e spiega quella che loro stessi definiscono la ‘trappola della modernità’.
A una prima analisi, superficiale e pressappochista, si potrebbe pensare che abbiamo imparato alla perfezione la lezione oraziana. In realtà, a ben vedere, stiamo facendo l’esatto contrario. Anziché godere dell’oggi, delle opportunità del presente, ne siamo diventati prigionieri, schiavi. Viviamo, o meglio ancora, corriamo dietro al presente, perché non abbiamo più la capacità di apprendere dal passato per tentare di proiettarci nel futuro. Siamo completamente fagocitati dalla logica della velocità, della fretta, del tutto e subito e abbiamo adeguato i nostri comportamenti in modo tale da creare le condizioni per non “perdere tempo”. Viviamo una vera e propria lotta contro il tempo quando, in realtà, è diventata una dimensione che non conosciamo più e della quale non sappiamo cogliere il senso. Il famoso ‘hic et nunc, il ‘qui e ora’ è diventata una dimensione totalizzante che coincide con ‘ubique et semper’, ‘sempre e ovunque‘, ben sapendo che queste categorie non sono in nessun modo equivalenti e non dovrebbero nemmeno essere considerate sovrapponibili.
Gli smartphone ci permettono di essere in connessione con il mondo secondo la formula 24/7 e la gestione del tempo che ci siamo imposti è completamente priva di spazi vuoti, di tempi di riflessione e di metabolizzazione, perché abbiamo la convinzione che non sia necessario comprendere e sedimentare. È come se avessimo perso la capacità di rimanere soli con noi stessi, è come se il tempo che ci dedichiamo fosse tempo perso. Il ché è esattamente il contrario dell’esortazione oraziana. La frenesia del presente della quale ci siamo resi prigionieri è ciò che ci impedisce di riflettere, di comprendere, di pianificare, di proiettarci e, ultimo ma non per questo meno importante, di vivere realmente ciò che viviamo.
Siamo tutti “Prigionieri del presente” ovvero fagocitati da
“una frenesia implacabile di fare ed esprimersi, che porta inevitabilmente alla ricerca di soluzioni semplici – una meta irrealizzabile, perché i problemi sono e restano complessi”
Giuseppe De Rita e Antonio Galdo si chiedono, e dovremmo farlo anche noi, come uscire da questo vortice non solo inutile, ma addirittura dannoso. Prerequisito fondamentale e punto di partenza imprescindibile è la necessità di mettere a fuoco il problema. Dobbiamo renderci conto di essere “prigionieri del presente” non solo per colpa degli altri.
Rendersi conto del problema è il primo passo verso la sua risoluzione.
Cartesio diceva: “Quando le cose non vanno come desideriamo, più che cambiare il mondo, ognuno di noi cominci a cambiare se stesso”.
Gandhi ci esorta a “essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”. Due modi diversi di dire che ciascuno di noi è responsabile, almeno in parte, della propria condizione di vita; due modi diversi di dire che ciascuno di noi può (e deve) essere il motore del cambiamento che può tirarci fuori dalla trappola della modernità, dalla prigionia del presente.
G. De Rita, A. Galdo, Prigionieri del presente. Come uscire dalla trappola della modernità, Einaudi, 2018, pp. 107, € 14.50