Pilato: il destino di una scelta obbligata?
“Due figure si fronteggiano, rischiarate dalla luce del primo mattino. Sono vicine, si parlano, condividono il medesimo spazio. L’una è quella di un prigioniero, forse in catene; l’altra del suo inquisitore.
La scena è sospesa ed elettrica – tutto deve ancora accadere – ma i rapporti di forza appaiono sbilanciati e schiaccianti: si capisce che la situazione può degenerare in un niente, la violenza esplodere in ogni momento; come infatti sarà. Non è un colloquio. È un interrogatorio.”
Queste le prime frasi del prologo del libro di Schiavone. La scena è, forse, una delle più famose al mondo e altrettanto conosciuti sono i nomi delle “due figure che si fronteggiano”. Gesù e Ponzio Pilato. Dico che universalmente noti sono i loro nomi, perché non vale altrettanto per le loro biografie. Di Gesù sappiamo tutto quello che ha senso sapere a seconda che il nostro approccio sia storico o fideistico religioso. Non vale lo stesso per Ponzio Pilato, una figura che all’interno della vicenda enorme del processo e della condanna di Gesù alla crocifissione, mi ha sempre affascinato davvero molto. Due sono le figure che attirano la mia curiosità: Ponzio Pilato e Barabba. Due personaggi che hanno avuto, loro malgrado, un ruolo fondamentale nel fare la storia, non questa storia, ma LA storia e dei quali, al di là di questo episodio, non si sa praticamente nulla.
Torniamo a Ponzio Pilato. Sappiamo di lui che è il quinto prefetto delle Prefettura della Giudea e che esercitò la sua carica tra il 26 e il 36. L’episodio che lo ha reso famoso è il processo a Gesù di cui testimoniano tutti e quattro i Vangeli canonici. Schiavone, con questo libro, prova a far luce sul suo protagonista proprio partendo dalla scena che, per definizione, rappresenta il punto di intersezione tra la storia e il sacro. Su Ponzio Pilato, Schiavone riesce a ricostruire una indagine di tipo psicologico. È il personaggio storico che, unico, ha parlato a lungo con Gesù e che si è ritrovato investito della responsabilità di prendere una decisione davvero più grande di lui. Durante tutta la durata del dialogo, o meglio dell’interrogatorio, si fronteggiano due livelli totalmente sbilanciati sia in termini di conoscenza dei fatti, sia anche di linguaggio. Gesù sa perfettamente che questo è il passaggio obbligato perché “tutto si compia”. Pilato si ritrova a dover giudicare una persona che non conosce, per una colpa che non rappresenta in nessun modo, almeno ad una prima analisi, una violazione del diritto romano. Tutte le azioni che Pilato compie vanno nella direzione di cercare di sottrarsi ad una decisione di cui non capisce, ma forse vagamente intuisce, la pericolosità. Interroga ripetutamente Gesù e non si capacita del fatto che il prigioniero non tenti in nessun modo di difendersi di fronte al suo potere di vita e di morte. Lo sottopone alla tortura, sperando che questo appaghi o impietosisca gli accusatori. Si gioca la carta del “referendum popolare” chiedendo alla folla di assumersi la responsabilità della decisione, scegliendo se liberare dalla prigionia Gesù o Barabba, ma anche in questo modo le scritture si compiono e la folla libera Barabba. Perfino la moglie del prefetto lo ammonisce a non immischiarsi in questa faccenda appellandosi a sogni premonitori nefasti, ma l’ineluttabilità del disegno divino ormai non può essere in nessun modo contrastata. Sappiamo tutti come finisce la storia, anzi meglio dire come continua.
L’indagine di Schiavone cerca di spiegare ciò che potrebbe essere accaduto, innestando nella documentazione che forniscono i Vangeli, le poche testimonianze storiche a supporto di una vicenda per certi versi avvolta nel mistero delle contraddizioni che originano nel leggendario.
Ad esempio la famosissima scena del lavaggio delle mani di Pilato, il gesto che è diventato proverbiale nella accezione che ben conosciamo, è essa stessa di dubbia autenticità.
Pilato è figura enigmatica ed emblematica ad un tempo. L’interpretazione che si può dare del suo comportamento è nella direzione della ineluttabilità dettata da un disegno divino ben più grande di quello umano. Oppure nella direzione della “vigliaccheria” di un Prefetto che, pur avendo la possibilità e l’autorità politica per farlo, non ha preso la decisione di schierarsi apertamente a favore dell’innocenza di Gesù, decretandone la libertà anziché la crocifissione. Del resto, il tema del libero arbitrio è scottante fin dalla notte dei tempi. Così come indiscutibile è la dimensione della solitudine della scelta in ciascuno di noi. Sì, perché è vero che possiamo sempre chiedere il parere di altre persone o farci guidare da una analisi e da una valutazione (mai totalmente oggettiva) di qualsiasi situazione, ma comunque, il momento della scelta è sempre un momento di solitudine. Nessuno può e deve scegliere per qualcun altro. Mai.
Allo stesso tempo, credo che non abbia senso fare il gioco dei se e dei ma, perché come dice il proverbio “con i se e con i ma la storia non si fa”.
La conoscenza degli aspetti storici delle religioni mi affascina da sempre, quindi il mio consiglio non può che essere: leggete questo libro. Schiavone ha fatto un lavoro che merita attenzione:
“Ho sempre pensato che uno studioso di Roma antica (e del suo diritto) non potesse fare a meno di misurarsi con un racconto che ha segnato, più di qualunque evento incluso in quella storia, i millenni successivi: la morte di Gesù, indefinitamente sospesa (come abbiamo appena visto) tra l’accertabilità dei fatti e l’autoreferenzialità di una memoria straordinariamente suggestiva e potente. Il percorso che ho scelto – la vicenda di Ponzio Pilato come punto di giuntura cruciale fra ricordo cristiano e storia imperiale – mi è sembrato il più efficace e il più adatto alle mie possibilità (…) A. S.”
A. Schiavone, Ponzio Pilato, Einaudi Storia, 2016, pp 175, € 22.00