Pinocchio in Emojitaliano
«C’era una volta …
- Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No ragazzi, avete sbagliato: c’era una volta un pezzo di legno.»
Questo è l’incipit de “Le avventure di Pinocchio” di Carlo Collodi. Uno degli incipit più famosi della letteratura, oserei dire mondiale, così come il burattino protagonista. Pinocchio è il libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia e tutti, non solo i bambini ma anche gli adulti, ne conoscono la storia per averla letta ognuno nella propria lingua. A proposito, noi italiani abbiamo il privilegio di poterla leggere in originale. Però, in effetti, pensando ai linguaggi di oggi, una traduzione mancava all’appello. Ed è quella curata da Francesca Chiusaroli che, con Johanna Monti e Federico Sangati, hanno tradotto “Pinocchio in Emojitaliano“.
Sì, avete letto bene. Hanno tradotto i primi quindici capitoli de “Le avventure di un burattino”, partendo dall’originale di Carlo Collodi, servendosi dei simboli che usiamo quotidianamente con gli smartphone nelle comunicazioni social. Una operazione che definisco importantissima dal punto di vista culturale e sociale. Perché culturale? Francesca, Johanna e Federico hanno realizzato un’impresa senza precedenti, perché tradurre non significa semplicemente passare da una lingua all’altra. Tradurre significa costruire quello che, dal punto di vista linguistico, si chiama codice, ovvero uno strumento che consente di comunicare, perché permette di attribuire significati condivisi a costrutti e simboli dati. È lo strumento che serve a chi affronta il testo, per riuscire a orientarsi all’interno del nuovo linguaggio. Una traduzione, per essere tale, ha bisogno di un glossario di termini necessari per la “decifrazione” e di una grammatica ufficiale, ovvero un insieme di regole che spieghino i criteri con cui si passa da una lingua all’altra. Solo così si può parlare di traduzione. È vero, anche altri si sono divertiti a usare le emoji come linguaggio per tradurre ad esempio Alice nel paese delle meraviglie (operazione compiuta dal designer Joe Hale) o Moby Dick (si trattava di un progetto di crowdfounding).
Se vi ricordate, nel 2015 anche la casa automobilistica Chevrolet, per lanciare la nuova Cruze, aveva creato un gioco social e anche il comunicato stampa era interamente scritto con le “faccine”. Ma in tutti questi casi, non si poteva parlare di traduzione, perché non era stato definito e messo a disposizione proprio quel codice che Pinocchio in Emojitaliano ha.
Perché social(e)? Perché questo lavoro di traduzione è iniziato a febbraio 2016 su Twitter e ha coinvolto l’intera community di “Scritture brevi”. Il compito era di tradurre in emoji una frase al giorno. Ciascun partecipante sottoponeva al gruppo la sua versione e, a fine giornata, si dichiarava la “versione ufficiale” con la quale veniva aggiornato il dizionario di riferimento. Tutto questo fino a settembre 2016, quando la traduzione è stata ultimata, assieme al dizionario e alla grammatica. Ciò che rende questo esperimento unico e importante è che, la costruzione del codice così come è avvenuta, crea le condizioni perché chiunque possa leggere “Pinocchio in Emojitaliano”, perché ai simboli è stato attribuito un significato noto e condiviso. Pinocchio è sempre rappresentato dall’emoticon del bambino che corre, così come il grillo parlante che è definito da un cappello da laurea e da una tromba, ad indicare la sua voce stridula e la funzione di richiamo della coscienza che svolge in tutto il romanzo. Un apice prima del simbolo indica che è usato con una funzione verbale, per cui un apice che precede una scarpa indica l’azione del camminare e così via. È un lavoro di traduzione che inizia come una attività di scrittura collettiva che, in nessun modo, vuole sostituire la ricchezza linguistica e lessicale dell’originale di Carlo Collodi. Tanto è vero che nel libro, pubblicato da Apice Edizioni, il testo in Emojitaliano affianca quello tradizionale. Tradurre è sempre un po’ tradire, ma soprattutto è prendersi la responsabilità di favorire la comunicazione e l’interazione tra culture diverse. Gli emoticon odierni ci riportano con la memoria alla preistoria, quando gli uomini primitivi si esprimevano con disegni e ideogrammi ben diversi dal codice alfanumerico al quale siamo abituati oggi. Rendere capolavori della letteratura mondiale fruibili nei codici della modernità è una operazione straordinaria che dimostra quanto di utile ci sia nel nuovo, se usato con obiettivi diversi dal divertimento fine a se stesso. Ha poco senso rifiutare lo sperimentalismo linguistico ed espressivo, soprattutto in considerazione del fatto che è caratteristico di ogni epoca storico culturale che ci ha preceduto. Il passaggio dal latino al volgare apprezzatissimo da Dante Alighieri, l’utilizzo da parte del Manzoni del toscano nei Promessi Sposi, il romanzo per eccellenza, l’utilizzo del dialetto romano da parte di Gadda nel Pasticciaccio, il linguaggio fonosimbolico delle Myricae di Pascoli, o ancora il dialetto siciliano del Montalbano di Camilleri, tutte tappe fondamentali che ci hanno portato alla complessità e all’evoluzione linguistica e stilistica che conosciamo. Oggi la sfida è di carattere informatico e la cifra che la contraddistingue è la rapidità della comunicazione. La diffusione della cultura non può e non deve rimanere fuori dal web. La ricerca della brevità e dell’essenziale non è affatto un problema, a patto di non eliminare gli elementi che trasmettono informazioni.
“Pinocchio corre. Corre da quando è nato … L’anima di Pinocchio, la sua espressione più tipica e primaria sta nel correre.” (G. Gasparini, La corsa di Pinocchio, 1997)
Ecco perché Pinocchio in Emojitaliano è rappresentato dal “runner”, inequivocabilmente e per chiunque. Ecco perché Francesca Chiusaroli, Johanna Monti e Federico Sangati hanno creato un’altra vera e propria traduzione di Pinocchio. La prima della contemporaneità.
F. Chiusaroli, J. Monti, F. Sangati, Pinocchio in emojitaliano, Apice libri, 2017, pp. 184, € 15.00