Il paradosso della stupidità. Il potere e le trappole della stupidità nel mondo del lavoro
“Molte organizzazioni sono intrappolate nel paradosso della stupidità: assumono persone intelligenti che poi fanno cose stupide. Questo produce buoni risultati nel breve termine, ma prepara la strada al disastro nel lungo periodo”.
Questa è la tesi che Spicer e Alvesson vogliono dimostrare in questo libro che analizza la realtà organizzativa di molte grosse aziende. La domanda più inquietante è come mai persone intelligenti credano incondizionatamente a idee stupide. La risposta è la stupidità funzionale ovvero “la tendenza a ridurre la portata del proprio pensiero e a concentrarsi sugli aspetti limitati e tecnici del proprio lavoro.” Ancora, “l’incapacità e/o la non disponibilità a far uso delle proprie abilità cognitive e riflessive se non secondo modalità ristrette e circospette”.
Quando le persone entrano in questo meccanismo, rimangono comunque in grado di svolgere il proprio lavoro, ma smettono di porsi domande su di esso. Spesso sono le aziende stesse a incoraggiare questo atteggiamento, perché, indubbiamente, persone che non pensano troppo e non fanno domande, sembrano più facili da gestire e da controllare. Nel breve periodo, un mero esecutore fa decisamente più comodo di un lavoratore che ponga continue domande e che cerchi di arrivare al perché delle cose. Per capire cosa intendiamo con “non fare domande, fallo e basta” è sufficiente pensare all’esercito, la realtà per eccellenza in cui gli ordini vanno semplicemente eseguiti nel miglior modo possibile. In che cosa consiste il paradosso della stupidità funzionale? Nel fatto che è contemporaneamente irresponsabile e utile; irresponsabile nel lungo termine, utile nell’immediato gestionale.
“Quando pensiamo alla stupidità in ambito lavorativo, la prima immagine che ci viene in mente è quella di un babbeo che combina un disastro dietro l’altro.”
Se fosse così, estirpare la stupidità dai luoghi di lavoro sarebbe davvero facile. La difficoltà, come dimostrano i due autori, sta nel fatto che il grosso della stupidità, nella vita aziendale, non è semplice faciloneria, ma stupidità funzionale i cui tre elementi costitutivi sono
– assenza di riflessività
– non chiedersi il perché delle proprie azioni
– non considerare le conseguenze e il significato più ampio delle proprie azioni, cioè evitare il ragionamento sostanziale.
Una volta definite le caratteristiche, Spicer e Alvesson dimostrano come possano essere varie le manifestazioni della stupidità funzionale stessa, dalla soppressione delle funzioni cognitive, alle carenze motivazionali, alla mancanza di ragionamento emotivo fino all’affaticamento dei principi morali. Un fattore determinante verso l’istupidimento dei lavoratori è l’eccessiva attenzione all’immagine. Quando i lavoratori temono di apparire stupidi, smettono di avere entusiasmo, di pensare e di imparare. La supremazia dell’apparire è sempre a discapito dell’essenza delle cose. In altre parole, la condizione che all’inizio sembra un vantaggio, un beneficio, alla distanza si rivela un problema; ridurre l’autonomia delle persone, limitare la possibilità di scelta, diventa fonte di grande insoddisfazione per le persone. Smettere di pensare criticamente a ciò che si fa, ma soprattutto al perché lo si fa, crea dubbi sul significato e sullo scopo della propria vita lavorativa. Ed è questo il momento in cui le persone si trovano di fronte ad un bivio al quale non possono più sottrarsi; sono costrette ad affrontare la domanda se sono disposte a riconoscere queste contraddizioni o se, semplicemente, vogliono continuare a far finta di niente.
La knowledge economy ha fatto sì che il livello culturale dei lavoratori di una azienda, indipendentemente dalla mansione che svolgono, si sia alzato molto rispetto al passato ed è questo il motivo per cui le aziende sentono l’esigenza sempre maggiore di arginare e controllare le ambizioni dei propri dipendenti. Arginare e controllare fino al punto da renderli stupidi funzionali. Le aziende in questo modo perdono la visione di insieme e quel minimo di capacità critica che è di vitale importanza per rendersi conto di come stiano realmente le cose.
La terza parte del libro riguarda “la gestione della stupidità e i mezzi per contrastarla”. Una volta conosciuto il problema, gli autori ci danno gli strumenti per combattere la stupidità, segno che qualcosa si può fare se lo si vuole!
M. Alvesson, A. Spicer, Il paradosso della stupidità, Raffaello Cortina Editore, 2017, pp. 238, € 19.00