L’onda: il sonno della ragione genera mostri
L’onda è un film del 2008 che ho scoperto per caso su Netflix. La breve descrizione della trama mi ha subito incuriosito e così ho deciso di guardarlo. È tratto dal romanzo omonimo di Todd Strasser, a sua volta basato sull’esperimento psico sociale, La Terza Onda, realizzato nel 1967 in California.
Il professor Reiner (Jurgen Vogel) insegna in un liceo tedesco e vorrebbe fare un corso tematico sulla anarchia. Un collega si accaparra l’argomento e quindi decide di ripiegare sul tema “autocrazia”. Ha un gruppo di studenti demotivati, che non sembrano particolarmente incuriositi dall’idea di approfondire questo tema, semplicemente perché ritengono che sia impossibile ricadere nell’esperienza della dittatura, ben sapendo che conseguenze ha portato il regime hitleriano. Partendo da questa certezza granitica, il professor Reiner decide di mettere alla prova i ragazzi e inizia a creare i presupposti per la costruzione di un regime di totalitarismo del quale lui stesso è il capo e loro i sottoposti. All’inizio funziona tutto, nel senso che l’applicazione della disciplina e l’introduzione di una divisa, di un saluto, di elementi distintivi dell’appartenenza al gruppo, fanno riflettere sul concetto di uguaglianza, sul senso di appartenenza e su quanto lo spirito di gruppo permetta di ottenere risultati di gran lunga superiori a quelli che potrebbe ottenere ciascuno di loro singolarmente. Dal senso di appartenenza a un comportamento che discrimina ed esclude chi viene percepito come “altro” dal gruppo, il passo è breve. Il professore si trova a dover fronteggiare un meccanismo da lui stesso creato, ma cresciuto a dismisura fino a diventare un’entità fuori controllo. Inutile dire che il finale del film è piuttosto tragico, mentre per fortuna, nella realtà, l’esperimento è stato fermato prima che succedesse il peggio.
È un film molto duro, perché totalmente credibile e realistico. Un mix ben costruito, del tutto funzionale a mettere in evidenza come sia facile arrivare alla degenerazione di principi di per sé positivi, ma che diventano devastanti se portati avanti in maniera incondizionata e senza nessuna discrezionalità, che presuppone un approccio critico. Il punto di partenza è molto chiaro: la sicurezza da parte dei ragazzi dell’impossibilità di ricadere negli errori del passato, perché se ne conoscono gli effetti. Non è un caso che il film sia ambientato in Germania. Un altro aspetto interessante è che, all’inizio del corso, il professore fa partire i ragazzi dal significato del termine “autarchia”. La derivazione è dal greco autós (se stessi) e árchein (comandare, avere il controllo); il significato etimologico è “avere il dominio, la padronanza, il controllo di se stessi” e, solo in senso estensivo, si arriva alla definizione di “potere assoluto”. L’ideale filosofico è il ‘bastare a se stessi’ cercando di non essere prigionieri dei condizionamenti esterni per il conseguimento della felicità.
Fin dalle prime battute dell’esperimento emerge la rapidità con cui gli assunti di partenza vengono smentiti proprio dai ragazzi che si erano detti certi della loro fondatezza. Il professore diventa rapidamente il loro leader indiscusso, perché si pone come l’alternativa valida a crisi economica, disoccupazione, iniquità sociale, manipolazione dei mezzi di informazione, delusione nei confronti della democrazia, nazionalismo, xenofobia. Tutti elementi che, a ben vedere, costituiscono le fondamenta dei regimi dittatoriali. L’esperimento è degli anni 60 del secolo scorso, ma è ancora del tutto attuale. I valori che mancavano a quell’epoca, in parte, sono gli stessi che mancano anche adesso. Il potere di seduzione che esercita un “leader” deriva dalla sua capacità di sfruttare una situazione di incertezza per assumere il controllo delle masse. La mancanza di punti di riferimento e di distacco critico nei confronti delle situazioni sono le leve su cui si fondano e si alimentano i regimi totalitari. Un altro elemento di riflessione profonda è la dimostrazione del fatto che, quasi mai, gli esseri umani imparano dalla storia. Gli studenti che entrano nell’esperimento sono sicurissimi dell’impossibilità che si ripeta l’orrore nazista per il fatto che ne conoscono le conseguenze. In realtà, senza nemmeno rendersene conto, si lasciano affascinare e conquistare proprio da quelle caratteristiche e dai principi che avevano trasformato Hitler da uomo qualsiasi a Führer.
Emblematica la frase di Ron Jones “Non sono mai riuscito a spiegarmi come l’individuo umano fosse disponibile a privarsi della propria libertà in cambio dell’idea di essere superiore a tutti gli altri”. Fa effetto constatare quanto la mancanza di certezze sia da sempre un problema per le specie e la loro evoluzione. Abbiamo sempre bisogno di punti di riferimento, di modelli da seguire, di personalità con le quali identificarci. Ne abbiamo talmente bisogno, da rinunciare alla nostra individualità, alla specificità che ci rende unici, in cambio di una protezione che ci sembra motivo di sicurezza ma che ci omologa al resto della massa.