Le notti bianche
“Era una notte incantevole, una di quelle notti che ci sono solo se si è giovani, gentile lettore”.
Inizia così “Le notti bianche” di Dostoevskij, un romanzo in cui il protagonista è un giovane scrittore, non di professione, che vive in una solitudine senza amici,
“né buoni conoscenti, né qualcuno con cui dividere la propria gioia nei momenti di gioia”.
È una solitudine pressoché totale, all’interno della quale la sua immaginazione immagina, vaga, progetta, sogna, il tutto nelle vie di una San Pietroburgo notturna, silenziosa e, anch’essa, solitaria. Il mondo reale gli fa da cornice ed è il motore attraverso il quale prendono vita i suoi incontri notturni, reali o immaginari, con la altre persone che tra loro si conoscono tutte anche se non davvero, solo di vista, per abitudine. “Le notti bianche” è il racconto della solitudine del protagonista, della sua necessità di comunicare e dell’incapacità di farlo, del desiderio di vivere relazioni autentiche e della paura di abbandonare quell’isolamento che, seppur faticoso, rappresenta una situazione nota e per questo rassicurante. Ma “Le notti bianche” è anche il racconto di un incontro inaspettato con una donna, Nasten’ka. Questo incontro rappresenta una novità, già solo per il fatto che si trovano di fronte due persone che hanno una storia da raccontare e raccontarsi. Il racconto delle loro storie occupa quattro notti e un mattino. Lo scrittore si rivela con sincerità, senza finzione, forse addirittura per la prima volta. La ragazza fa altrettanto. Sono quattro notti in cui il protagonista e Nasten’ka si confidano e mettono a nudo sensazioni e sentimenti. Man mano che le storie si raccontano, la solitudine lascia il posto al calore della condivisione, della comunanza dei sentimenti, del piacere di conoscere e conoscersi senza secondi fini. Da romanzo della solitudine, diventa romanzo che racconta il valore dell’incontro, dell’amicizia, il senso di un amore soffocato in nome di qualcosa di infinitamente più prezioso.
La magia della notte come momento in cui il silenzio e l’intimità del protagonista con se stesso si fondono con il racconto di una ragazza. La profonda amicizia e l’insperata fiducia riposta in un uomo segretamente innamorato, ma capace di raccogliere le afflizioni di una ragazza innamorata di un altro.
È un classico di grande attualità, in una fase in cui alienazione ed evitamento, per usare due termini forti, sono molto più frequenti che all’epoca dell’autore. Con questo romanzo Dostoevskij dimostra la sua grande lungimiranza e la sua capacità di focalizzare l’attenzione sul senso profondo della vita, dell’amicizia e della condivisione. Nell’era dei social l’amicizia si chiede e si dà, mentre prima di questa perenne connessione l’amicizia si faceva. Del resto, amicizia e amore hanno la stessa radice (am-) e in amicizia come in amore “è questione di continuità, di conoscenza, di affinità, di esplorazione”. La dimensione che conta è quella del “fare”, del “gettare le basi per costruire”. Nell’era dei social l’amicizia è diventata una concessione che crea una diseguaglianza tra chi chiede e chi concede. L’amicizia è invece una dimensione che si costruisce, è un sentimento che si crea partendo dalla conoscenza, dalla fiducia, dal dono. Amicizia è accoglienza reciproca, non richiesta e non concessione a priori. Dostoevskij ci racconta questo tipo di amicizia, quella di due persone che si incontrano, si fidano l’uno dell’altra, si accolgono attraverso le proprie storie, condividono gioie e preoccupazioni, in un rapporto di assoluta parità.
F. Dostoevskij, Le notti bianche, Mondadori, 2003, pp. 105, € 9.00