Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari
“Il fatto, ecco, il fatto è che non me l’aspettavo che lei andasse via davvero. Non è che a dieci anni, addormentandoti la sera, una sera come tante, né più oscura, né più stellata, né più silenziosa o puzzolente di altre, con i canti dei muezzin, gli stessi di sempre, gli stessi ovunque a chiamare la preghiera dalla punta dei minareti, non è che a dieci anni – e dico dieci tanto per dire, perché non è che so con certezza quando sono nato, non c’è anagrafe o altro nella provincia di Ghazni – dicevo, non è che a dieci anni, anche se tua madre, prima di addormentarti, ti ha preso la testa e se l’è stretta al petto per un tempo lungo, più lungo del solito, e ha detto: Tre cose non devi mai fare nella vita, Enaiat jan, per nessun motivo. La prima è usare le droghe. (…) La seconda è usare le armi. (…) La terza è rubare. (…)
Ecco. Anche se tua madre dice cose come queste e poi, alzando lo sguardo in direzione della finestra, comincia a parlare di sogni senza smettere di solleticarti il collo, (…) be’, anche se tua madre , mentre ti aiuta a dormire, dice tutte queste cose con una voce bassa e strana, che ti riscalda le mani come brace, e riempie il silenzio di parole, lei che è sempre stata così asciutta e svelta per tenere dietro alla vita, anche in quell’occasione è difficile pensare che ciò che ti sta dicendo sia: Khoda negahdar, addio.”
“Nel mare ci sono i coccodrilli” inizia così, con il gesto d’amore estremo di una madre che vede nell’abbandonare il figlio l’unica possibilità per cercare di garantirgli un futuro. È una storia vera quella che Enaiatollah Akbari racconta a Fabio Geda. Non una storia inventata e nemmeno una storia qualsiasi; questa è la sua storia. Enaiat racconta il suo viaggio di cui l’Afghanistan è il punto di partenza, Pakistan, Iran, Turchia e Grecia sono le tappe intermedie e l’Italia è il punto di arrivo. L’Italia è il “posto per crescere”, quello dal quale
“non ti viene voglia di andare via. Certo non perché sia perfetto. Non esistono posti perfetti. Ma esistono posti dove, per lo meno, nessuno cerca di farti del male.”
È il viaggio della speranza, compiuto con la forza della disperazione. È un’avventura per la vita nella quale un bambino, perché a dieci anni si è ancora bambini, è costretto ad affrontare la solitudine, la paura, la fatica, il buio, il mare, il deserto, la tragedia della vita stessa, il tutto per tentare di avere un futuro. Non un futuro straordinario fatto di cose mirabili, semplicemente un futuro che, nel caso di Enaiat, significa solo la possibilità di rimanere vivo, di crescere, di studiare, di lavorare.
La storia di Enaiat è, purtroppo, quella di chissà quanti altri bambini che sono costretti a crescere e diventare uomini senza passare per l’essere davvero bambini.
Solo raramente nel racconto si inserisce l’autore Geda per porre qualche domanda, perché dice Enaiat:
“Se parli direttamente con le persone trasmetti un’emozione più intensa, anche se le parole sono incerte e la cadenza è diversa; in ogni caso il messaggio che arriva assomiglia di più a quello che hai in testa, rispetto a quello che potrebbe ripetere un interprete, (…) perché dalla bocca dell’interprete non escono emozioni, escono parole e le parole sono solo un guscio.”
Enaiatollah Akbari è ancora capace di provare emozioni forti che trasmette anche a noi lettori. Il suo racconto è una testimonianza che restituisce davvero cosa significa essere bambini in Afghanistan e dover scappare da tutto e da tutti per provare a diventare grandi. Sono parole che non giudicano e non disprezzano mai, semplicemente raccontano in modo equilibrato e consapevole il dramma dell’immigrazione forzata, la tragedia di abbandonare tutto e tutti senza sapere se questo servirà davvero a qualcosa. Enaiat non racconta quello che gli è accaduto perché si sente una vittima, lo fa perché sia chiaro che un immigrato non è solo la persona che vediamo arrivare nel nostro paese all’improvviso e della quale abbiamo anche un po’ paura. Un immigrato è anche il suo viaggio, è anche il motivo che lo ha costretto ad abbandonare tutto perché quel tutto non è più sostenibile.
Leggendo queste pagine ho provato più volte a immaginare me stessa a dieci anni in questa situazione e non ci sono proprio riuscita. E vi dirò di più, non riesco a immaginare come potrei vivere (o subire) questa situazione nemmeno adesso che sono adulta.
Per fortuna Enaiat ce l’ha fatta. Per fortuna la sua è una storia a lieto fine. Per fortuna di questo lieto fine fanno parte anche i suoi fratelli e sua mamma, quella mamma che gli ha detto Khoda negahdar, addio, sperando che non fosse davvero un addio.
F. Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, Baldini e Castoldi, 2017, pp. 151, € 12.00