“L’estate del ’78”. Il romanzo di una vita
“Un pomeriggio d’estate Roberto Alajmo incontra la madre in una strada di Mondello. Non può immaginarlo, ma quello è un addio. «Cos’abbia fatto lei, nei tre mesi successivi, ancora oggi non lo so. È oggetto della presente indagine».”
“L’estate del ’78”, non una qualsiasi. Roberto Alajmo, adolescente, vive un rapporto particolare con la sua famiglia e in particolare con Elena Parrino, la madre. È figlio di genitori separati e negli anni settanta questa non era condizione tanto diffusa e tanto accettata. È figlio di una donna affetta dalla “malattia socialmente impresentabile”, la depressione che allora si curava con elettroshock nei manicomi e barbiturici a casa, che forse è l’origine di una situazione complessa e difficile da comprendere per un ragazzino come Roberto.
Questo libro è autobiografico, il romanzo della vita dell’autore che scaturisce proprio da quell’addio di cui non aveva avuto il minimo sentore nel momento in cui accadeva.
“È difficile stabilire il momento in cui si prende commiato da una persona. I momenti sfumano, si susseguono, sfuggono al controllo che cerchiamo di esercitare su di essi.”
Un momento preciso dell’estate del ’78 è quello da cui parte tutto il racconto per ricostruire il quale l’autore protagonista si aiuta guardando alcune fotografie dell’album di famiglia che fa vedere anche a noi lettori.
Sono fotografie in bianco e nero che ritraggono quasi sempre momenti ‘istituzionali’ per la famiglia. Sono fotografie degli anni settanta, che testimoniano abitudini e atteggiamenti tipici di quegli anni. Sono fotografie che solo a un osservatore attento raccontano sentimenti ed emozioni che, di norma, si cercava di controllare. Alajmo compie un’operazione di grande intensità, perché partendo dai ricordi condivide con noi la percezione che ne aveva da ragazzino, nell’estate del ’78 e l’interpretazione che ne dà adesso, da adulto, a posteriori, quando tutto è già successo. C’è grande attenzione all’importanza dei sentimenti troppo spesso sottovalutati o tenuti nascosti in nome di una volontà di apparire forti e autonomi, specie nell’adolescenza.
“Fra madre e figlio un virile saluto senza contatto può bastare. Ci saranno altre occasioni per rifarci. Un sacco di tempo per recuperare.”
C’è grande rammarico in questa affermazione di Roberto, un rammarico che coinvolge anche il lettore, perché non è affatto così. E questa è la prima riflessione importante. Non sappiamo quanto tempo abbiamo e nemmeno se e quando incontreremo una persona per l’ultima volta.
“A sedici anni i sentimenti sono un dono da riservare solo agli estranei: musicisti rock, attori del cinema, qualche raro amico, le ragazze che ricambiano, se ricambiano. I parenti restano esclusi per compensazione, visto che negli anni dell’infanzia sono stati il fulcro della sfera affettiva.”
Elena, sulla base di questa teoria, rientra nella categoria dei “parenti”. Roberto Alajmo racconta la storia della sua famiglia e di quel tragico episodio, dal suo punto di vista. Ne scaturisce un ritratto davvero intenso, di una donna sola, taciturna, incompresa. Tanti i segnali con i quali ha cercato di attirare l’attenzione sul suo bisogno di aiuto; altrettante le mancate risposte derivate dalla incapacità di empatia da parte degli altri. Di tutti gli altri, familiari compresi. Elena ci ha provato più volte, ci è ricaduta e ci ha riprovato. Una donna sola, ma con una grande dignità, che ha lottato per tutto il tempo che ha potuto farlo.
Elena ha sopportato tutte le porte chiuse in faccia che si sono succedute; prima l’allontanamento dalla scuola in cui insegnava, poi la separazione, poi la dipendenza dai farmaci, poi la consapevolezza che
“La sopravvivenza in sé non è un valore. A essere desiderabile è un punto di equilibrio fra longevità e dignità. Non me ne faccio niente di dieci anni di vita in più senza garanzie.”
Un romanzo interiore molto intenso che obbliga a profonde riflessioni sull’importanza dei sentimenti, delle emozioni, dei comportamenti di cui occorre essere consapevoli, perché
“la disciplina del mondo non risponde sempre alle nostre esigenze”.
La scrittrice e viaggiatrice Isabelle Eberhardt dice che
“la felicità non si cerca né si trova: la si incrocia. Viaggia sempre in direzione opposta”.
Da qui Alajmo ci consegna le sue
“due Leggi Fondamentali della felicità. La Prima Legge: la felicità consiste nell’essere felici. La Seconda Legge: e saperlo mentre succede, però.”
R. Alajmo, L’estate del ’78, Sellerio, 2018, pp. 173, € 15.00