Le virtù cardinali: valori arcaici e superati o ancora attuali?
Prudenza, temperanza, fortezza e giustizia. Sono le quattro virtù cardinali da sempre al centro della riflessione filosofica e teologica, da Aristotele a Machiavelli, da Locke a Hobbes, da Freud a Arendt. Leggendo questo libro, scopriamo come sia cambiata nel tempo l’accezione che diamo a questi quattro termini che non sono solo parole, ma concetti, comportamenti fondamentali che definiscono l’essenza dell’essere umano.
Remo Bodei ci spiega come
“nel linguaggio comune la prudenza tende oggi ad essere confusa con la cautela o con la moderazione, ossia con una virtù modesta e quasi senile, carica di paure e di incertezze”.
Non è questo il suo valore originario, “perché il providens – dalla cui contrazione si ottiene prudens – è chi è in grado di evitare pericoli o danni”.
La prudenza è quindi la virtù deliberativa per eccellenza, è la forma più alta di saggezza pratica, ovvero la capacità di prendere le decisioni migliori in ciascuna situazione, applicando a casi particolari, criteri universalmente riconosciuti come votati al bene. La prudenza, per poter essere esercitata nella sua accezione originaria, richiede capacità critica, ‘capacità di giudizio’, per dirla con Hannah Arendt; diventa cautela quando subentra un potere autoritario, ma anche quando i tempi e le situazioni sono talmente veloci da far perdere l’orientamento e la capacità di comprendere la direzione verso la quale ci si muove. Al tempo dei Greci prudenza e saggezza coincidevano, anche dal punto di vista linguistico, perché entrambi i significati erano nella parola φρόνησις (phronesis).
Giulio Giorello ha il compito di raccontare la temperanza, la virtù che sta a fondamento del vivere civile. È intesa come equilibrio, capacità di evitare gli eccessi, ma anche come rispetto della libertà degli altri e della propria.
“Che gran virtù è la temperanza, e quale grande importanza ha essa in tutta la vita umana! Eppure Iddio non ha prescritto nessuna legge o regola speciale a suo riguardo, affidando l’uso di questa sì grande facoltà interamente alla discrezione di ciascun uomo maturo.”
In questa citazione, tratta da un’opera di Milton, è contenuta tutta la difficoltà della temperanza come virtù: nessuna legge o prescrizione in merito, solo la discrezione dell’uomo maturo. Una grande responsabilità quindi.
A Michela Marzano viene affidata la fortezza, che in latino è fortitudo. La fortezza infatti non è la forza, ma il coraggio.
“Nel senso tradizionale del termine, è la capacità di superare la paura e affrontare i pericoli, mentre nel senso più moderno e contemporaneo è piuttosto la capacità di restare sempre degni di fronte alle avversità della vita.”
Michela Marzano affronta questa virtù cercando di rispondere a domande fondamentali:
- il coraggio è caratteristica innata o si può imparare?
- ci vuole più coraggio ad agire o a fermarsi?
- occorre più coraggio per parlare o per tacere? per sopportare o per fuggire?
Il primo a dare una definizione di coraggio è Aristotele che nell’Etica Nicomachea lo descrive come un giusto mezzo tra codardìa e temerarietà. Coraggioso è quindi chi è conscio del pericolo, ne ha paura, ma riesce a vincerla e a mettersi in gioco. Quello che è interessante è che la premessa senza la quale cadrebbe la possibilità del coraggio è la paura. Il coraggio può essere definito, vissuto e agito solo in relazione alla paura. Paura intesa come un’emozione positiva, perché ci spinge a recuperare noi stessi e a far fronte ai pericoli, reali o immaginari che siano.
Giustizia. Per analizzarne il valore, Salvatore Veca parte ancora da Aristotele che, sempre nell’Etica Nicomachea, definisce la giustizia come rispetto della legge e come equità. Comunque la si guardi, secondo Aristotele, la funzione della giustizia è dare a ciascuno il suo, niente di più e niente di meno. Questa definizione resta valida per molto tempo, secondo Veca fino al secolo scorso quando John Rawls nella sua opera Una teoria della giustizia, istituisce il paradigma delle teorie contemporanee della giustizia. All’utilitarismo basato sulla massimizzazione della libertà individuale, limitata solo dalla pari libertà dell’altro, Rawls contrappone una teoria ‘contrattualistica’ che presuppone un accordo su principi di giustizia sociale.
Resta fondamentale il principio di equità distributiva dei vantaggi e l’ineguaglianza è ammessa solo se a vantaggio del più debole; la giustizia come equità diventa giustizia come lealtà nei confronti di una dimensione sociale fino ad allora non così centrale.
Nel tempo dell’incertezza, dell’intolleranza, della paura, dell’ingiustizia, della baumaniana fluidità, questo viaggio all’interno della storia delle virtù cardinali ci può essere utile per orientarci, per capire da dove siamo partiti e, forse, dove converrebbe ritornare.
R. Bodei, G. Giorello, M. Marzano, S. Veca, Le virtù cardinali, Laterza, 2017, pp. 75, € 12.00