La vendetta del perdono
“La vendetta del perdono” è un titolo ossimorico, racchiude cioè due situazioni che tutti quanti reputiamo da sempre inconciliabili. O c’è vendetta o c’è perdono. “La vendetta del perdono” è l’ultimo libro di E. E. Schmitt che scaturisce, come sempre, dalla sua instancabile analisi delle emozioni e dei sentimenti. Il perdono, o meglio la capacità di perdonare è, nell’immaginario storico e culturale di tutti, l’atto cristiano per eccellenza. È la condizione in cui si trova chi, dopo una terribile sofferenza, qualsiasi essa sia, riesce a collocarsi in una dimensione di saggezza superiore che rende possibile il superamento del torto subito per dimostrare una generosità apparentemente senza limiti e senza condizioni.
La vendetta invece è l’esatto contrario, ovvero l’incapacità di superare l’ingiustizia e l’ingresso in una situazione emotiva che può essere pacata ed appagata solo con la restituzione di quanto subito; la vecchia legge del taglione.
Schmitt riflette su queste due posizioni e si chiede se siano davvero sempre inconciliabili e se non ci siano circostanze in cui l’una si realizzi attraverso l’altro. Per cercare di rispondere a questo interrogativo, che definirei inquietante, costruisce i quattro racconti lunghi di cui si compone
“La vendetta del perdono”:
- Le sorelle Babarin indaga il rapporto tra due sorelle gemelle, una sempre buona e l’altra sempre cattiva
- Madamina Butterlfy racconta di un’avventura estiva tra un ragazzo e una ragazza che nasce da una scommessa. Il ragazzo vuole vincere la scommessa mentre la ragazza, una contadinotta sempliciotta (questo è il suo nome) e ignorante, si innamora perdutamente di lui
- La vendetta del perdono è il terzo racconto che dà il titolo all’intero libro e racconta la storia di un serial killer totalmente privo di sentimenti che riceve continuamente visite in carcere da parte della madre di una delle sue giovani vittime
- Disegnami un aereo è l’ultimo e racconta la storia di amicizia che nasce tra Werner, un aviatore novantenne e una bimba di otto anni, precoce e geniale, che chiede all’anziano vicino di casa di disegnarle un aereo.
Sono quattro racconti molto diversi tra loro, che indagano tipologie di rapporti anch’esse diverse. È praticamente impossibile raccontare di più di ciascuno senza compromettere in modo significativo l’esperienza del lettore, ma è evidente che in tutti il perdono rappresenta il culmine, la svolta.
Si tratta di tipologie diverse di perdono, concesso, auto concesso, reale, mancato le cui conseguenze sono sempre tanto differenti quanto imprevedibili. Altro elemento trasversale è la prospettiva di indagine di Schmitt, che è anche il pretesto compositivo dei racconti stessi.
Per tutti i protagonisti l’assoluzione, sia essa concessa o ottenuta, non è un nuovo inizio, ma un vero e proprio rovesciamento dei ruoli.
Se nella tradizione cristiana il perdono è qualcosa che si muove a senso unico, che solo la vittima può decidere di concedere (e il carnefice non può rifiutare di ricevere), in questa nuova prospettiva, Schmitt ridistribuisce la responsabilità. Secondo questa interpretazione, la vittima diventa a sua volta carnefice e la concessione del perdono coincide, per il carnefice, nella peggiore delle vendette possibili. Indipendentemente che si sia d’accordo o meno con questa ipotesi del perdono come vendetta, bisogna riconoscere che Schmitt si riconferma un autore straordinario nel porre domande che obbligano a scandagliare la sfera dei sentimenti e delle emozioni. Il tema del “punto di vista” è centrale per l’interpretazione della quotidianità e della vita in generale. Sempre dovremmo coltivare il dubbio (o forse la certezza) che il nostro modo di vedere le cose non sia né l’unico, né il migliore. È semplicemente un punto di vista. In questo Schmitt utilizza la forza del dialogo e la potenza delle parole che, in tutte e quattro le situazioni proposte, danno significato alle cose e consistenza alle situazioni. In tutti e quattro i racconti il colpo di scena finale, l’inaspettato, è ciò che dà forza e ragionevolezza al dubbio che è, per definizione, il prerequisito per l’esistenza dei punti di vista. Eric Emmanuel Schmitt non ha dubbi sul fatto che
“il perdono è una scommessa sull’umanità”.
Così come non ha dubbi sul fatto che “La vendetta del perdono” è una prospettiva interessante, ma soprattutto possibile, se estrapolata dal contesto religioso dove questa ipotesi non ha ragione di esistere. La laicità del perdono consente non solo all’autore, ma a tutti noi lettori, di diventare protagonisti, e quindi attivi, nella scelta tra vendetta, perdono o “vendetta del perdono”. Ciascuno di noi si ritrova ad essere protagonista nel rapporto con la propria coscienza e con la dimensione dell’altro. Non esiste una regola universale e non esiste una sensibilità uguale per tutti. Ciascuno stabilisce cosa è perdonabile e cosa non lo può essere. L’importante è la presenza del dubbio, la possibilità che ciascuno, appunto, faccia i conti con la propria coscienza.
“Cerco sempre di scrivere delle storie che provochino emozioni e riflessioni nel lettore, anche se non so esattamente quali. Credo molto nel potere della finzione, quando ci si lascia prendere per mano da una storia si perdono le proprie abitudini”.
È questo il potere della scrittura ed è il motivo per cui Schmitt indaga l’umano attraverso l’invenzione letteraria. Immedesimarsi nel racconto implica sempre e comunque la presa di coscienza dell’esistenza di punti di vista diversi dal nostro.
“Il potere delle storie è proprio quello di creare della benevolenza, della tolleranza, della comprensione dell’altro, grazie all’empatia che si crea coi personaggi”.
E questa è la premessa indispensabile per l’esistenza della tolleranza nei confronti di se stessi e degli altri.
E. E. Schmitt, La vendetta del perdono, E/O edizioni, 2018, pp. 256, € 18.00 (trad. A. Bracci Testasecca)