La paura è peggio del castigo
Irene Wagner, bella viennese della migliore borghesia e moglie di un noto penalista, sta scendendo rapida le scale di una casa non sua dopo aver fatto visita all’amante, un giovane pianista. Ma lì, su un pianerottolo, il fato la attende sotto le spoglie di una sordida ricattatrice. Quella donna sa tutto di lei. E Irene cede, e paga. Da quel momento comincia l’incubo
Questa la trama di ‘Paura’ di Stefan Zweig come è descritta nella quarta di copertina dell’edizione Adelphi. Il lettore si trova direttamente dentro la situazione senza nessun preambolo: la protagonista, colpevole di tradimento, è colta sul fatto e da quel momento è vittima della sua ricattatrice. Sembrerebbe un intreccio del tutto scontato; in realtà non è così semplice. O meglio, i fatti sono quasi ovvi e a vivacizzare il tutto è la componente psicologica della protagonista della storia in primis e dei personaggi che le stanno intorno. Irene sceglie di tradire, per noia, l’uomo che ama.
La sazietà non è meno tormentosa della fame, e quella vita protetta, priva di pericoli, suscitava in lei la curiosità dell’avventura.
All’origine della vicenda un’esistenza perfetta, caratterizzata dall’avere tutto ciò che si potrebbe desiderare, dalla mancanza di qualsiasi sfida. Cedere alle lusinghe dell’uomo di cui diverrà l’amante è il modo che Irene sceglie per uscire dalla monotonia. Un’opzione che le sembra un buon compromesso tra lasciare le cose come stanno e dare una scossa alla sua esistenza. Manca alla donna la consapevolezza che la sua decisione comporta la disponibilità
di pagare il prezzo autentico dell’avventura: l’accettazione del pericolo.
Irene non aveva mai pensato alla possibilità che qualcosa andasse storto e la portasse allo scoperto. Per questo il ricatto la getta nel panico più totale. ‘Paura’ è interamente giocato sul dialogo interiore della protagonista con se stessa. Il tradimento e il ricatto sono una combinazione molto faticosa da sostenere. La mettono di fronte al suo senso di colpa e la costringono a fare ininterrottamente i conti con se stessa, con la sua scelta da bambina viziata e le impongono la necessità di capire come uscire dal pasticcio nel quale lei stessa si è cacciata per “noia” e desiderio di avventura.
Va da sé che il senso di colpa diventa il filtro, che agisce come uno specchio deformante, attraverso il quale Irene è costretta a vedere se stessa e ad analizzare le sue azioni. Qualsiasi soluzione valuti le sembra ottima e, un momento dopo, del tutto impraticabile. Potrebbe tentare di far credere alla ricattatrice di essersi sbagliata, che non era lei la persona giusta da ricattare, ma, al secondo incontro, la donna misteriosa la chiama per nome e queso la spinge ancora di più nell’abisso della paura. Potrebbe confessare il suo tradimento al marito e chiedere scusa; lui la perdonerebbe o la obbligherebbe a pagare il prezzo del tradimento, privandola di tutto ciò che le sembrava così noioso da non poter più essere sopportato? Il marito, avvocato, la sottoporrebbe a un processo in piena regola o, in nome di un sentimento che va al di là della sua professionalità, potrebbe dimostrare qualche indulgenza?
Travolta dall’angoscia sempre crescente Irene fa i conti con se stessa e tocca con mano ciò che il marito le ha più volte spiegato:
La paura è peggio del castigo: perché alla fine il castigo è qualcosa di determinato e, sia pesante o meno, è sempre meglio della spaventosa incertezza, della tremenda tensione che si prolunga all’infinito
Sembra paradossale, ma la certezza della pena è di gran lunga più sopportabile dell’incertezza in cui il senso di colpa ci costringe a vivere, sospettando di tutto e di tutti, di noi stessi per primi.
L’ansia è crescente ed è l’elemento che sostiene l’incredibile tensione narrativa. Più Irene è preda della sua paura, più il ritmo narrativo diventa tensione anche per il lettore, completamente immedesimato nella battaglia emotiva della protagonista.
Zweig (e noi con lui) pedina l’adultera tormentata dalla ricattatrice, ma prima ancora dalla sua stessa coscienza, divisa tra angoscia e rimorso. Ci permette di vedere la protagonista contemporaneamente all’esterno, attraverso le sue azioni sempre più insensate e all’interno, mettendo a nudo il suo flusso di pensieri sconclusionati e deliranti. Solo quando il lettore è completamente in apnea, ecco il colpo di scena finale, magistrale e per nulla scontato.
Mi piace questo genere di romanzi in cui anche chi legge è indotto a confrontarsi con le regole dell’interiorità e della coscienza. È questo il motivo per cui ho amato e amo ‘Delitto e castigo‘ di Dostoevskij e mi sono appassionata a ‘Una scrittura femminile azzurro pallido’ di Franz Werfel.
I sentimenti che prova Irene, lo stato d’animo che la travolge, la consapevolezza di avere fatto una scelta assurda, che la rende indifendibile, è qualcosa che tutti conosciamo, non necessariamente per esserci trovati nella sua stessa situazione, questo è ovvio. Parlo della sensazione che abbiamo vissuto, ad esempio, dopo una qualsiasi marachella compiuta di nascosto quando eravamo bambini e puntualmente dicevamo che, se l’avessimo fatta franca quella volta, non l’avremmo mai più fatto!
Una curiosità: il titolo originale di questo racconto è Angst, la cui traduzione letterale sarebbe Angoscia. E pensare che Irene significa ‘pace’.
Stefan Zweig, Paura, Adelphi, 2011, pp. 120, € 10.00 (trad. A. Vigliani)