La cena: davvero “i figli dei gatti mangiano i topi”?
Paul, marito di Claire e padre di Michael, è anche il fratello di Serge. Serge è candidato a diventare primo ministro, è sposato con Babette e padre di Rick e Beau, quest’ultimo adottato. Le due coppie sono a cena in un ristorante di lusso. Chiacchierano piacevolmente, si raccontano i film che hanno visto di recente, i progetti per le vacanze. Ma non hanno il coraggio di affrontare l’argomento per il quale si sono incontrati: il futuro dei loro figli. Michael e Rick, quindici anni, hanno picchiato e ucciso una barbona mentre ritiravano i soldi da un bancomat.
Le videocamere di sicurezza hanno ripreso gli eventi e le immagini sono state trasmesse in televisione in una puntata di Telefono giallo. I due ragazzi non sono stati ancora identificati ma il loro arresto sembra imminente, perché qualcuno ha scaricato su internet dei nuovi filmati, estremamente compromettenti.
Questo è ciò che racconta il risvolto di copertina del libro stesso. È evidente quindi che la cena è il momento della verità, quello nel quale le due famiglie devono decidere come affrontare le conseguenze del gesto raccapricciante compiuto dai loro figli. La cena rappresenta anche il tempo narrativo. Le parti nelle quali è suddiviso il libro corrispondono alle portate del menu e Paul, la voce narrante della storia, descrive ciò che mangiano, commenta i piatti, ma soprattutto racconta la situazione grottesca nella quale si trovano. All’inizio è schematico e ordinato, poi, fanno la loro comparsa flashback che interrompono la linearità del racconto, ma che sono funzionali a far conoscere al lettore tutti i particolari, soprattutto quelli più bui, della vita delle due famiglie e del gesto a dir poco sconsiderato di Michael e Rick. Il fatto è chiaro. Quello che tiene il lettore con il fiato sospeso è il modo in cui l’uccisione della barbona viene interpretata dai quattro genitori. La vera suspence è nel cercare di capire che cosa siano disposti a fare e fino a che punto si spingano per difendere o per condannare i figli. Koch, l’autore, mette al centro di tutto il rapporto padre figlio e lo analizza nella normalità (apparente) del quotidiano e nell’esasperazione che deriva da situazioni imprevedibili, come il contatto con l’emarginazione e il disagio sociale. Il primo sconvolgimento per i genitori sta nel rendersi conto dell’estraneità dei figli che credevano di conoscere alla perfezione. Questo mette in crisi il sistema famiglia e quello educativo.
“Tutto questo fino alla puntata di Telefono giallo. Fino a quel giorno era stata solo una notizia, certo, una notizia sconvolgente, ma pur sempre una notizia che come tutte le altre era destinata a sfumare: con il tempo lo scandalo si sarebbe smontato, fino a quando il fatto sarebbe finito nell’oblio, o comunque non sarete stato tanto importante da diventare parte della nostra memoria collettiva.”
L’opzione di scelta è tra denunciare i figli come sarebbe logico e conforme ad un codice etico e di giustizia o fare finta di niente e difenderli spingendosi al di là del difendibile stesso. In questo i Paul e Claire da un lato, Serge e Babette dall’altro si trovano su posizioni opposte, che dipendono dai loro trascorsi estremamente diversi. Dalla voce di Paul apprendiamo che lui stesso, insegnante di storia in aspettativa, è un violento con problemi psichici e che, già in passato, ha difeso il figlio in circostanze in cui non avrebbe dovuto farlo. Serge, padre politico, appare molto più distaccato e concentrato sulla propria carriera, al punto da essere disposto a denunciare il figlio nella convinzione che una autoaccusa porterebbe lustro alla sua stessa posizione pubblica. Da un lato quindi la difesa a tutti i costi, fino ad arrivare all’inversione della responsabilità di quanto accaduto (la barbona non doveva essere lì); dall’altro la disponibilità a sacrificare la famiglia in nome della propria carriera. Paul si riconosce nell’istintività del figlio, Serge dimostra di non essere minimamente coinvolto nel proprio privato. Le mogli difendono i rispettivi mariti assecondandone le posizioni e, del resto, il loro ruolo in questo caso è di contorno più che di vero e proprio protagonismo, almeno fino al finale. Le posizioni quindi sono tutte rappresentate in modo magistrale dall’autore. Il lettore può tranquillamente scegliere da che parte stare fino all’epilogo che non voglio svelare.
Il rapporto padre figlio è solo uno dei temi messi in campo nella cena. Non possiamo isolarlo, e del resto Koch non ce lo permette, dal ruolo genitoriale nell’educazione dei figli, dalla responsabilità dei minorenni nei confronti delle loro azioni, dal ruolo sociale della scuola nell’educazione dei comportamenti, dalla percezione dell’emarginazione, dalla capacità, che spesso è incapacità, di valutare le conseguenze di ciascuna azione compiuta. Herman Koch non prende nessuna posizione in merito alle questioni che solleva; il compito che si è dato è di far riflettere noi lettori su temi nei quali siamo talmente immersi da non rendercene nemmeno più conto.
Se non avete voglia di leggere il libro, al cinema l’omonimo film con Richard Gere, Laura Linney e steve Coogan.
H. Koch, la cena, Beat NP Editore, 2011, pp. 255, € 12.50