L’interprete. Dove finisce la colpa e inizia la responsabilità?
“L’interprete” è Eva Bruhns, protagonista del romanzo di Annette Hess. Deve tradurre dal polacco per Josef Gabor che, in un dialetto che perfino a Eva risulta quasi incomprensibile, racconta di prigionieri uccisi con il gas in campi di concentramento nei quali la morte è ovunque. Eva fatica a tradurre, perché non sa nulla di ciò che questo polacco di Varsavia racconta; rimane profondamente scossa e nonostante la famiglia non approvi, o forse proprio per questo, l’interprete decide di accettare l’incarico e di prendere parte al processo come traduttrice per i testimoni che provengono dal campo di Auschwitz. Il processo che Annette Hess racconta è quello che si è svolto a Francoforte nel 1963 contro alcune SS in servizio ad Auschwitz. Annette Hess sceglie di raccontare, attraverso la forma del romanzo, fatti storici realmente accaduti. L’espediente narrativo della protagonista interprete permette all’autrice di indagare un argomento complesso e agghiacciante quale la crudeltà dell’esistenza di Auschwitz e, più in generale, dello sterminio degli ebrei voluto e messo in atto dal regime nazista; non solo. Estremamente importante è anche la scelta di raccontare il processo di Francoforte, il processo dei tedeschi contro i tedeschi che, all’epoca dei fatti, erano ufficiali di grado inferiore rispetto a quello dei gerarchi del processo di Norimberga. Questo momento storico permette all’autrice di portare l’attenzione, sua e del lettore, su un aspetto molto più ampio e complesso rispetto ai soli fatti dei campi di concentramento.
“Papà, in questo lager venivano uccise migliaia di persone al giorno.” Eva notò meravigliata che la sua voce suonava quasi rabbiosa.
“Chi lo dice?”.
“I testimoni”.
“Dopo tutti questi anni, i ricordi possono essere confusi”.
“Quindi credi che mentano?”. Eva era sgomenta, non aveva mai visto suo padre così sulla difensiva.
“Ti ho solo detto la mia opinione, se me lo permetti”. Ludwig fece per uscire e aprì la porta. Eva si alzò, lo seguì e disse con voce smorzata: “Ma bisogna che si sappia. E i criminali devono essere puniti. Non possono continuare a girare a piede libero!”.
Vedendo la figlia così turbata, Ludwig rispose: “Sì. È vero”. Poi la lasciò nel soggiorno buio. Eva pensò che suo padre non le era mai sembrato così estraneo prima di allora.
Eva Bruhns è tedesca e appartiene alla generazione immediatamente successiva a quella che ha vissuto la guerra e ha visto i campi di sterminio funzionare giorno e notte. Si ritrova, come interprete, a dover tradurre fatti che i suoi genitori hanno visto direttamente con i loro occhi; hanno visto o forse – ciò che è peggio – hanno reso possibili già solo attraverso il loro silenzio. “L’interprete” ripropone la riflessione su un tema che da allora non ha mai smesso di imporsi alle coscienze di molti, purtroppo non di tutti: la riflessione sul tema della colpa e della responsabilità. Semplificando moltissimo ciò che Hannah Arendt spiega in maniera magistrale c’è una differenza sostanziale tra colpa e responsabilità, la prima individuale e attiva, la seconda collettiva e non necessariamente solo di chi agisce, ma anche di chi lasca che le cose accadano. Annette Hess tenta di raccontare proprio questo aspetto, attraverso la sua interprete Eva Bruhns, che vuole comprendere l’assurdità di Auschwitz immersa in una famiglia che ha vissuto quella esperienza come se fosse normale, come se fosse impossibile anche solo pensare di opporsi, di denunciare, di pensarla e leggerla per quello che era veramente. L’autrice, non a caso, sottolinea che Ludwig, il padre di Eva, aveva deciso di andare ad Auschwitz per avere un lavoro e una casa dove poter abitare e avere una vita normale. Nella Germania completamente distrutta del dopoguerra Eva decide che non può accettare di non sapere, di far finta che tutto questo non sia accaduto, di ritenere che, in quel momento, fosse impossibile anche solo pensare di opporsi a quella assurda normalità del quotidiano ad Auschwitz. “L’interprete” è la fotografia di un pezzo di storia terrificante che occorre studiare, approfondire e soprattutto non dimenticare. Un romanzo molto duro che obbliga a porsi domande scomode, ma inevitabili. Domande che non hanno, o non dovrebbero, avere valore solo in riferimento al passato, ma dovrebbero essere una linea guida sempre, un punto di attenzione e di consapevolezza.
De “L’interprete” è molto bello anche il finale, un altro spunto sul quale riflettere. Non giudicare – a posteriori, quando si sa come va a finire è sempre facile – ma riflettere per comprendere e per non dimenticare.
Annette Hess, L’interprete, Neri Pozza, 2019, pp. 315, € 18.00 (trad. C. Ujka)