Il segreto del farmacista che non voleva esporsi
“Una notte del ’43“ è l’ultima delle Cinque storie ferraresi, pubblicate per la prima volta nel 1956 da Einaudi e che confluiscono nel Romanzo di Ferrara di cui costituiscono la prima parte col titolo Dentro le mura.
Bassani costruisce questo racconto innestando in un episodio vero, l’eccidio che nella notte del 15 dicembre 1943 provoca l’uccisione di 11 persone in Corso Roma (l’attuale corso Martiri della Libertà), una vicenda privata frutto della sua fantasia, la storia di Pino Barilari e di sua moglie.
Le due figure attorno alle quali ruota tutto il racconto sono un fascista ferrarese, Carlo Aretusi, e il farmacista Pino Barilari. Quest’ultimo ha contratto in gioventù una malattia venerea che lo ha portato alla paralisi che gli impedisce di andare nella sua farmacia sotto casa. Trascorre quindi le sue giornate al piano di sopra davanti ad una finestra che si affaccia su Viale Roma esattamente sopra la farmacia. Ha una moglie molto bella che lo tradisce. Barilari lo sa, anche se finge di non saperlo. È un personaggio che potremmo definire privo di colore; una figura grigia, pigra, che forse non ha mai aderito fino in fondo alle scelte che ha fatto e che ha commesso molti errori. Quello che è certo, è che siamo di fronte ad un uomo incapace di assumersi delle responsabilità, cosa che dimostrerà anche in questa situazione.
Siamo nel periodo finale della dittatura fascista, la cosiddetta Repubblica di Salò. Il fascista ferrarese Carlo Aretusi, soprannominato Sciagura, decide di farsi notare per la sua capacità di essere decisionale e, per fare questo, ha bisogno di una azione dimostrativa molto forte. Organizza un rastrellamento di 11 antifascisti che vengono poi fucilati davanti al Castello Estense. Esattamente sotto la finestra di Barilari che, proprio quella notte non dorme, perché aspetta la moglie che è uscita per un incontro clandestino con un altro uomo. Il farmacista quindi vede tutto, la fucilazione ed anche il presidio fascista che viene organizzato attorno ai corpi, perché nessuno possa avvicinarsi. Vede tutto, ma non denuncia nulla né adesso, né in futuro. Ovviamente, a guerra finita, questo eccidio porta ad un processo per l’individuazione dei responsabili del massacro. Barilari, chiamato a testimoniare, alla domanda precisa su cosa accadde quella notte risponde solo: “Dormivo”. Barilari non denuncia, non perché colluso con il fascismo ma, ancora una volta, per l’incapacità di andare fino in fondo e di assumersi la responsabilità di essere l’unico testimone in grado di fare giustizia.
L’aspetto che Bassani fa emergere attraverso la caratterizzazione dei due personaggi è il loro essere del tutto inconsapevoli della realtà in cui vivono e altrettanto incapaci di “vedere”, di dare una lettura oggettiva e sensata del contesto storico. Sciagura non vede che il regime fascista è in una fase di iniziale decadenza e si rende protagonista di una operazione del tutto anacronistica e, in quanto tale, completamente inutile. Barilari non vede ciò che è successo in quella notte del ’43. È testimone per così dire inconsapevole di una vita, la sua, della quale non riesce ad essere protagonista, ma nemmeno spettatore.
Florestano Vancini ispirandosi a questo racconto ha fatto un bellissimo film, La lunga notte del ’43 (del 1960), nel quale però cambia il finale. L’amante della moglie del farmacista è anche il figlio di una delle vittime. Alla fine della guerra lascia Ferrara per la Svizzera dove si sposa e fa fortuna. Solo molti anni dopo torna nella sua città e presenta alla moglie l’ex fascista assassino del padre, descrivendolo come un poveraccio che non ha mai fatto niente di male. Anche Vancini, a modo suo, richiama il tema dell’inconsapevolezza, dell’incapacità di vedere fino in fondo, attraverso il tema della memoria storica. Franco sceglie di non ricordare, e si pone quindi in una linea di continuità con il farmacista. L’assassino del padre è descritto come un poveraccio che, in fondo, non ha fatto niente. Una frase che denota la scelta di non volersi assumere la responsabilità di dare alla storia la giusta interpretazione. L’eccidio del Castello è un atto criminale, forse poco conosciuto rispetto ad altri molto più famosi, ma pur sempre tale. La mancanza di una coscienza civile e la scelta non solo di dimenticare, ma soprattutto di non denunciare, è in un certo senso, una tacita accettazione di un periodo storico drammatico che non appartiene ancora del tutto al passato, ma che continua ad essere presente nelle coscienze e nelle menti degli italiani della neonata Repubblica.
Le opere di Bassani esercitano su di me un fascino particolare, perché raccontano il passato di Ferrara che è la mia città. Fa sempre un grande effetto leggere racconti e romanzi ambientati in un contesto che è quello nel quale mi muovo tutti i giorni. Fa effetto passare in Viale Roma, che oggi si chiama, non a caso, Corso Martiri della Libertà, e vedere la lapide che commemora l’eccidio e, dall’altro lato, la farmacia di Barilari e la famosa finestra. Fa effetto pensare che sotto i portici dove allora c’era il “Caffè della Borsa, avendo davanti la rupe a picco della Torre dell’Orologio” ritrovo dei ferraresi dell’epoca, oggi c’è un negozio di articoli sportivi. È un bel gioco immaginare, attraverso le parole di un autore ferrarese della caratura di Giorgio Bassani, com’era la Ferrara che lui ha vissuto e della quale ci ha regalato un ricordo che è una testimonianza eterna.