Ho imparato a ridere
La chiave di lettura e anche la chiave interpretativa per me sono già nel titolo, soprattutto nel verbo “imparare”. Perché dico questo? Perché solo chi è umile può vivere l’esperienza dell’apprendimento e solo chi è umile può insegnare e trasmettere le conoscenze acquisite. Imparare è una parola bella e, come tutte le parole belle ha anche una etimologia bella. Imparare è la forma rafforzata del latino parare (= portare). È l’atto di procacciarsi una informazione, una nozione, una cognizione attraverso lo studio, l’esercizio, l’osservazione, la pratica, l’impegno, l’esempio altrui. È quindi un’attività seria, importante che richiede fatica. È un atto volontario che presuppone grande dedizione ma, come ho detto, non può compiersi senza una grande umiltà. Richard Romagnoli ha fatto di più. Non solo ha imparato a ridere, ma ha deciso che questa sua conoscenza dovesse essere trasformata in una competenza. Nella competenza di aiutare anche gli altri ad imparare a farlo. Ho imparato a ridere è un libro autobiografico. È la storia della sua esperienza personale di cambiamento. Il punto di partenza è una grande crisi: la malattia e la perdita del padre, ma soprattutto il mantenimento della promessa che Richard gli fa di essere felice sempre. Essere felice diventa la sua missione, ma esserlo solo per sé non è abbastanza. “Quando tu ridi tu cambi. E quando tu cambi, il mondo cambia con te”. È questa la grande consapevolezza. È questo il punto di partenza che trasforma Richard in un “missionario” della risata, quella vera. Quello di Richard non è un insegnamento cattedratico, ma esperienziale. Non è un racconto teorico di tecniche e comportamenti, ma è un accompagnamento attraverso un percorso che permette a ciascuno di noi di riconciliarsi con se stesso. È un percorso universale, ma al contempo individuale, calibrato su ogni singola persona. Sì, perché quello che succede è che, nell’approccio con questa esperienza, ciascuno mette la propria individualità, la propria specificità che il maestro sa far emergere e valorizzare. La forza del singolo che fa crescere il gruppo e l’unità del gruppo che rassicura il singolo. Un percorso sinergico che non può essere spiegato, ma solo vissuto. Richard non è un docente ma una guida, non guarda ma agisce, non trasferisce nozioni ma racconta delle storie di vita vissuta e, soprattutto, le sa ascoltare. Richard ci riporta a contatto con noi stessi, ci permette di recuperare una dimensione che abbiamo innata, ma che è sepolta da sovrastrutture sociali e comportamentali che ci hanno indotto a credere che non ci sia più niente da ridere. Nel bambino, il ridere e il parlare non sono cose che si imparano, ma sono cose che accadono. Sapete che i bambini imparano a parlare per dimenticanza? Ogni bambino, quando nasce, è predisposto per l’utilizzo di qualsiasi lingua ed è solo in un secondo momento che il suo cervello dimentica tutto ciò che non serve per parlare nella lingua madre. Per la risata è la stessa cosa. I bambini ridono prima ancora di parlare e lo fanno come manifestazione empatica di benessere, di felicità. Non esiste che un bambino rida se non è felice; l’adulto può utilizzare la “risata nervosa”, ma il bambino no, mai. Ecco perché, da adulti, dobbiamo (re)imparare le lingue diverse dalla nostra spesso con grandissima fatica. Ed è in questo senso che noi adulti dobbiamo “imparare a ridere”. È incredibile, ma è così. Si tratta solo di recuperare la spontaneità, la libertà di ascoltare le nostre emozioni. Il libro di Richard Romagnoli ci racconta la sua esperienza ed è un meraviglioso punto di partenza per scegliere di essere protagonisti del nostro cambiamento e promotori del cambiamento che vorremmo vedere nel mondo.
Richard Romagnoli, Ho imparato a ridere, Eifis, 2013, pp. 192 € 19.00