Flotsam. La magia del mare
‘Flotsam’ è un silent book, capolavoro di David Wiesner che proprio per questo libro ha vinto una delle sue tre Caldecott Medal. I libri muti sono completamente privi di parole, di testo scritto e affidano tutta la loro potenza narrativa alle immagini che compongono le pagine.
‘Flotsam’, la cui traduzione letterale è ‘Relitti’, è un racconto di esplorazione. Già nella prima pagina incontriamo il protagonista, un ragazzino biondo che, mentre i genitori leggono, raccoglie tesori sulla spiaggia. Si intuisce fin da subito che è curioso e affascinato dalla scoperta del nuovo, si tratti di oggetti o animali: Wiesner ce lo presenta con una serie di strumenti, lente di ingrandimento, cannocchiale e microscopio, che non lasciano spazio a dubbi. Il primo ‘osservato speciale’ con la lente di ingrandimento, è un paguro simpaticissimo, seguito da un granchio che arriva sul bagnasciuga trasportato da una piccola onda. Fin qui è il racconto di una normale giornata di mare. È una seconda onda, più grande della prima, che introduce un nuovo elemento, inaspettato e per certi aspetti fantastico, che orienta la storia verso una direzione imprevedibile. Sulla riva, di fianco al granchio, c’è una macchina fotografica antica, di un’epoca lontana nel tempo e da lungo immersa nel mare, come raccontano le incrostazioni di pesci e conchiglie con cui si presenta. Nell’immagine successiva David Wiesner la disegna in mano al ragazzino e poi più in grande, in primo piano: qui troviamo le uniche tre parole scritte in ‘Flotsam’ che ci dicono che si tratta di una ‘Melville‘ per le fotografie subacquee.
La vera scoperta è il rullino ancora contenuto nella macchina fotografica. Come si può resistere alla tentazione di correre a farlo sviluppare? L’autore ci descrive, in una sequenza serrata di sette riquadri tutti nella parte bassa di una stessa pagina, l’attesa dello sviluppo e solo dopo, la storia si concentra sulla scoperta e sull’osservazione delle fotografie che la Melville ha così a lungo custodito e che ora restituisce. Sono immagini che ci immergono in un mondo marino fantastico, popolato da pesci rossi che nuotano grazie a strani ingranaggi, piovre e altri pesci comodamente seduti su divani e poltrone di un salotto abbandonato dagli esseri umani, tartarughe che sul proprio carapace ospitano città fatte di conchiglie e altre scene ugualmente suggestive e immaginarie.
Poi un nuovo colpo di scena: tra le foto, ce n’è una che ritrae un volto.
Il ragazzino biondo la guarda prima a occhio nudo, poi con la lente di ingrandimento e alla fine con il microscopio: solo in quel momento riesce a capire che si tratta di una bambina che tiene in mano una fotografia con il ritratto di un bambino che a sua volta tiene in mano la fotografia che ritrae un altro bambino con in mano una foto di un altro bambino in una sequenza che sembra non finire mai. Una struttura a matrioska che ci accompagna in un vero e proprio viaggio nel tempo fino a un’epoca lontanissima in cui le fotografie erano addirittura in bianco e nero.
La giornata sta per finire e i genitori chiamano il ragazzo per tornare a casa; lui accetta, ma non prima di compiere un’ultima azione che non vi svelo; vi dico solo che si tratta di un finale che permette che l’intera storia continui.
‘Flotsam’ è un libro muto, che racconta molto. Partendo da una giornata al mare completamente ordinaria – la prima tavola ritrae il protagonista su una spiaggia sull’oceano – ci porta in un sistema di sguardi, che si affacciano su mondi reali e immaginari diversi tra loro e a volte molto lontani. L’oceano restituisce un oggetto reale, la macchina fotografica Melville, che rappresenta essa stessa un viaggio nel tempo, perché è antica e con un nome che non potrebbe essere più evocativo di così della letteratura di viaggio e di mare.
L’ho già detto, ma voglio ripeterlo: ’Flotsam’ è un libro fatto di sguardi. In copertina c’è l’occhio di un pesce rosso nel quale si riflette la Melville (particolare che si riconosce e si apprezza solo dopo la lettura delle pagine) e tutta la storia è incentrata sull’importanza della visione che deve diventare sguardo, sia esso rivolto a un paguro, a un granchio o a una ragazzina ritratta in una fotografia attraverso l’occhio-obiettivo della macchina fotografica.
L’atto di guardare implica un coinvolgimento attivo del soggetto, perché presuppone attenzione. David Wiesner ci racconta una storia fantastica con la quale ci invita a riflettere sul potere che le immagini hanno di creare legami capaci di travalicare i limiti di spazio e tempo. Le tavole illustrate che compongono ‘Flotsam’ sono tutte dipinte ad acquerello con colori tenui e sfumati all’inizio, che diventano più decisi nei momenti della storia in cui il protagonista guarda, con attenzione appunto, i mondi lontani e fantastici delle fotografie.
Affascinante e per nulla casuale è l’utilizzo della macchina fotografica come oggetto di meraviglia e motore della storia del viaggio nello spazio e nel tempo. C’è un passo di Susan Sontag (Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, Feltrinelli, Milano, 1978) che rende bene l’importanza e la genialità di questa scelta:
La suprema saggezza dell’immagine fotografica consiste nel dire: «Questa è la superficie. Pensa adesso – o meglio intuisci – che cosa c’è di là da essa, che cosa deve essere la realtà, se questo è il suo aspetto». Le fotografie, che in quanto tali non possono spiegare niente, sono inviti inesauribili alla deduzione, alla speculazione e alla fantasia. Le fotografie sono, ovviamente, manufatti. Ma il loro fascino è anche che, in un mondo cosparso di relitti fotografici, sembrano avere uno status di oggetti trovati, di fette di mondo non premeditate. Di conseguenza approfittano contemporaneamente del prestigio dell’arte e della magia del reale. Sono nubi di fantasia e pillole di informazione.
Buona “visione” e buon viaggio!
D. Wiesner, Flotsam, Clarion Books, 2006, pp. 40, € 18,32