Discorso sulla servitù volontaria
Siamo nel 1500, secolo caratterizzato dalla riscoperta del pensiero politico come pensiero filosofico: Machiavelli, proprio in questi anni analizza la figura del principe e scrive la sua opera omonima in cui teorizza come deve essere e Tommaso Moro scrive la sua Utopia, con l’ambizione di delineare un ‘non-luogo’, un luogo che non esiste nella realtà, ma che se esistesse, sarebbe modello perfetto di giustizia, libertà, uguaglianza e correttezza politica.
In questo periodo troviamo anche Étienne de La Boétie, una vera e propria voce fuori dal coro, che ha il merito di scrivere un libello dal titolo ‘Discorso sulla servitù volontaria’: un testo che cambia la prospettiva dell’analisi del rapporto del potere con i suoi sudditi. Nella tradizione, fino ad allora, lo sguardo critico ha sempre insistito sull’oppressione che si abbatte sulle sue vittime, innocenti e impotenti e, in nessun modo, si è mai presa in considerazione l’ipotesi che le vittime potessero essere conniventi rispetto al potere. Étienne de La Boétie rovescia il ragionamento e guarda il potere dal lato di chi accetta di subire e di obbedire.
Con un rovesciamento di prospettiva dirompente, questo saggio pone l’attenzione su come gli schiavi stessi amino la loro condizione di schiavitù. L’asservimento delle masse è possibile solo se esse stesse contribuiscono alla creazione di questa condizione. Non basta la brutalità della forza, ma occorre anche la “volontà di servire”. La cosa è tanto vera che un
“tiranno solo, non c’è bisogno di combatterlo, non occorre sconfiggerlo, è di per sé già sconfitto, basta che il paese non acconsenta alla propria schiavitù. Non bisogna togliergli niente, ma non bisogna concedergli nulla.”
Étienne afferma a gran voce:
“Decidetevi a non servire più ed eccovi liberi”
La tesi è provocatoria: gli uomini hanno la propensione all’asservimento, perché hanno paura di essere liberi. Temono la libertà, perché presuppone una continua assunzione di responsabilità che lo stato di schiavitù esclude. Adeguarsi al comando, ubbidire a ordini ricevuti è decisamente più rassicurante. Il potere non è solo subito, ma anche voluto dalle vittime che rinunciano – se non consapevolmente, di sicuro volontariamente – alla libertà. Il potere vive nella misura in cui trova consenso da parte di chi lo vive; sostegno e fondamento della tirannia sono sia la forza del potere stesso sia anche la volontà dei sottoposti di essere servi.
Se persino le bestie sono pronte a lottare per la libertà, quali sono le ragioni per cui gli uomini non lo fanno? Sono quattro:
- l’abitudine. “La natura dell’uomo è proprio di essere libero e di volerlo essere, ma la sua indole è tale che naturalmente conserva l’inclinazione che gli dà l’educazione.” Fin da piccoli siamo educati all’obbedienza dalla famiglia prima e dalla scuola poi e questa abitudine si radica al punto da ritenere l’obbedienza l’unico atteggiamento possibile, addirittura fino alla schiavitù.
- la propaganda politica e l’opposizione alla diffusione della cultura. Soprattutto la cultura è percepita come pericoloso strumento per l’acquisizione di consapevolezza da parte dei sottomessi. Questa attenzione, unita all’ostacolare qualsiasi forma di aggregazione contro la tirannia, hanno un effetto potentissimo.
- la strategia nota come panem et circenses con cui i tiranni, fin dall’antichità, mantenevano buoni e addormentati i propri sudditi e concedevano loro quel poco che bastava a far credere nella magnanimità del tiranno stesso.
- nascondere l’origine del potere dietro un velo mistico che lo rende di origine divina e, in quanto tale, a tratti incomprensibile e di sicuro difficile da osteggiare.
Alla luce di ciò, il desiderio di servire non può in nessun modo essere attribuito all’irrazionalità della folla o alla sua stupidità; al contrario, la tirannia ha un fondamento del tutto razionale e opportunamente costruito e insinuato nelle persone che finiscono per ritenere di avere motivi validi per ubbidire, fino alla schiavitù.
Un’opera scritta 500 anni fa, ma ancora di un’attualità incredibile. Secondo Étienne de La Boétie,
la libertà è una scelta così come la servitù.
Si può decidere di ubbidire, ma anche di non farlo. Non esiste quindi una condizione che escluda completamente la responsabilità della persona o delle persone che la accettano. Quasi in nessun caso è possibile che gli uomini si trovino in una condizione della quale non siano, anche se in piccolissima parte, corresponsabili.
È, in un certo senso, un’affermazione del diritto alla ‘disobbedienza civile’ contro ogni tirannia, ma senza abusare del nome della libertà.
Libertà e uguaglianza sono i due valori da perseguire più e prima di tutti gli altri, ma occorre farlo nel rispetto proprio della libertà e dell’uguaglianza stesse.
É. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Feltrinelli, 2014, pp. 125, € 8.50