Delitto e castigo
“Delitto e castigo”: la trama, è tutta in questo titolo. Mi rendo conto di avere fatto un’affermazione un po’ forte nel dire che la trama è tutta nel titolo, ma in effetti racconta l’accadimento principale attorno al quale si snodano tutte le vicende che coinvolgono i personaggi, tutti importanti, che intrecciano la loro vita con il protagonista. Il giovane Raskòl’nikov, spinto dalla miseria ma anche da considerazioni teoriche e filosofiche decide di uccidere l’usuraia padrona della stanza in cui vive
che somigliava più a un armadio che a un’abitazione
Questo delitto si compie proprio all’inizio del romanzo e tutto il resto delle pagine è dedicato al castigo. “Delitto e castigo”, ma anche colpa ed espiazione; le tematiche sulle quali Dostoevskij riflette insieme al lettore sono molte, ma la grande domanda è fino a che punto il fine giustifichi i mezzi, fino a che punto un principio può essere affermato a tutti i costi. Non è un caso che il protagonista sia un giovane avviato agli studi giuridici. La scelta di Dostoevskij di trasformare in assassino uno studente di giurisprudenza è straordinaria: chi studia le leggi decide di violarle, in nome di una etica e di una morale che, a livello teorico, sembrano a Raskòl’nikov tanto inconciliabili quanto superiori. Quelle che il giovane non ha preso nella dovuta considerazione sono le reali conseguenze di un gesto estremo, quale il delitto. Il castigo vero, non è certo il carcere a cui è condannato dopo la confessione, ma l’obbligo di confrontarsi con la propria coscienza, con la consapevolezza della colpa e con il manifestarsi di una sorta pentimento che lo porta al delirio. Non è un pentimento vero e proprio, perché
Il delitto è una protesta contro l’anormalità dell’organizzazione sociale nient’altro, e non s’ammettono altre cause.
Raskòl’nikov continuerà per tutta la vita a pensare di aver compiuto un delitto (che in realtà sono due) per giusta causa. L’eliminazione fisica dell’usuraia, che considerava la causa principale della sua condizione estremamente disagiata, trova una giustificazione nel fatto che è un atto compiuto per il bene dell’umanità. È un atto che affonda le proprie radici nella volontà di ripristinare la
“normalità dell’organizzazione sociale”,
che l’anziana padrona di casa rendeva impossibile. La tragica condizione nella quale precipita il giovane assassino deriva dalla progressiva assunzione di consapevolezza che
I fatti non son mica tutto; almeno metà della faccenda consiste nel modo in cui si sanno trattare i fatti.
Se da un lato permane la convinzione della legittimità di un atto estremo come il delitto, motivato da principi morali che stanno al di sopra dei limiti imposti dall’impianto giuridico, dall’altro Raskòl’nikov è preso alla sprovvista proprio dalla sua incapacità di “trattare i fatti”. La convinzione di aver agito per giusta causa e l’intenzione di utilizzare il denaro e gli oggetti rubati alla defunta usuraia per fare del bene ed espiare in suo atto, non sono sufficienti per redimerlo dalla sua stessa colpa. È questa consapevolezza inaspettata che lo logora e lo porta progressivamente alla malattia fisica e mentale. L’unico modo per redimere se stesso è ammettere la propria colpa e accettare che l’unica vera espiazione possibile deve passare attraverso il dolore e la sofferenza. Ecco perché il carcere siberiano non è il vero castigo. Dostoevskij non indugia nel racconto dell’esecuzione materiale del delitto, perché non è quello il punto di attenzione. L’uccisione dell’usuraia è solo il punto di partenza, l’atto necessario dal quale partire per una riflessione profonda sulla condizione umana che il senso di colpa riempie di angoscia, rimorso, tormento e dell’insopportabile senso di impotenza che deriva dalla consapevolezza che non si può tornare indietro.
“Delitto e castigo” è un’opera magistrale che può – o forse deve – essere letta su più livelli. È un giallo colmo di tensione psicologica, ma è soprattutto un romanzo che mette il lettore davanti all’inevitabilità di riflessioni di carattere esistenziale, filosofico, religioso, morale, politico, sociale e antropologico.
La povertà non è un vizio; ma la miseria, la miseria è vizio. Nella povertà voi conservate ancora la nobiltà dei vostri sentimenti innati; nella miseria, invece, nessuno mai la conserva.
In questa frase il senso dell’espiazione e la necessità di assumersi le proprie responsabilità, di imparare a chiedere scusa e di accettare di pagare per i propri errori, nella consapevolezza che la pena giuridica non può nulla se non è accompagnata dalla assunzione di responsabilità morale. “Delitto e castigo” contiene talmente tanti spunti di riflessione e di analisi che l’unico modo per apprezzarne la bellezza, la profondità e il suo essere senza tempo è leggerlo più e più volte. Dostoevskij è un autore geniale, con uno stile unico capace di coinvolgere il lettore e di renderlo protagonista al fianco dei suoi personaggi. Un autore imprescindibile.
F. Dostoevskij, Delitto e castigo, Mondadori, 2016, pp. 770, € 12.00 (trad. S. Prina)