La conversione, questa sconosciuta
Personal Branding, ovvero cura e valorizzazione della propria immagine. Non so come siamo arrivati alla convinzione che fare personal branding significhi volersi “vendere bene”, espressione che può essere fraintendibile, in effetti. Curare la propria immagine non è una operazione funzionale a trasformare noi stessi in “oggetti” da acquistare, quanto piuttosto impostare una strategia corretta e finalizzata alla definizione e alla esplicitazione delle nostre caratteristiche vincenti, o se preferiamo, dei nostri punti di forza. L’obiettivo è farci scegliere per come siamo, per quello che facciamo e per come lo facciamo. Non si tratta quindi di costruire una versione fittizia di noi, significa piuttosto valorizzare la nostra immagine autentica e la nostra personalità anch’essa autentica. Niente di diverso da quanto abbiamo sempre fatto anche nel “mondo analogico”. Non è forse vero che da sempre scegliamo il nostro abbigliamento in funzione delle circostanze? Non è forse vero che da sempre adeguiamo il nostro registro comunicativo all’uditorio che abbiamo di fronte? Non è forse vero che da sempre cerchiamo di essere all’altezza delle situazioni nelle quali ci troviamo? Non è forse vero che da sempre cerchiamo di “fare bella figura”? L’avvento dei social e la diffusione di una dimensione online, da questo punto di vista, non hanno cambiato nulla rispetto al passato. Quello che cambia davvero è che in questa nuova dimensione sociale e comunicativa, il nostro Brand non è più solo nostro. Non abbiamo più il pieno controllo della nostra immagine che è continuamente ridefinita da un pubblico estremamente vasto che interagisce con noi, anche a distanza, anche senza conoscerci di persona, e che rimodula in continuazione ciò che siamo. Abbiamo la piena responsabilità di ciò che comunichiamo di noi, ma non abbiamo il controllo totale su come gli altri ci percepiscono. Ed è questa la ragione per cui non possiamo pensare di non interagire per partecipare a questa continua rimodulazione delle relazioni e alla costruzione del nostro modo di essere. Perché, come dice Matteo Flora, “la reputazione o te la fai tu o te la fanno gli altri”. Umberto Macchi, un vero amico e grandissimo professionista, ha scritto questo manuale per condividere con noi la sua esperienza di personal Branding. Herbert Simon, economista, psicologo e informatico statunitense, sostiene che “prepara un progetto chiunque pensi ad azioni destinate a trasformare situazioni esistenti in situazioni desiderate”. Definizione che, a mio parere, descrive perfettamente tutto il lavoro che Umberto ha fatto e continua a fare nella direzione della crescita sia personale che professionale non solo sua, ma anche di tutte le persone che hanno scelto di crescere insieme a lui. Questo manuale è un percorso attraverso il quale l’autore per primo ha traghettato la propria esperienza dal passato al presente. Un viaggio attraverso cui ha saputo convertire e adattare l’esperienza pregressa alle nuove tecnologie di comunicazione per rispondere alle esigenze attuali della società. Ogni capitolo di questo libro è una tappa fondamentale per la nostra crescita causale e non casuale, una tappa fondamentale per riuscire a sfruttare la nostra esperienza e il nostro modo di essere in sintonia con le aspettative della modernità del contemporaneo in cui viviamo, ci relazioniamo e lavoriamo. Non si tratta in nessun caso di rinnegare tutto ciò che c’è stato prima dell’avvento del digitale, quanto piuttosto di evolvere e di adattare le proprie competenze ai nuovi codici.
I social media non sono altro che il mezzo di comunicazione della modernità; occorre impararne le logiche di funzionamento, ma soprattutto è necessario individuare i contenuti che vogliamo veicolare. Se non abbiamo dei messaggi chiari da diffondere, questi strumenti non servono a nulla, così come in passato non sarebbe servito a nulla avere a disposizione carta e penna se non avessimo saputo cosa scrivere.
Bene, direte voi, ma cosa c’entra tutto questo con il titolo “La conversione, questa sconosciuta”? Non ho nessuna intenzione anticipare nulla, perché Umberto nel suo libro lo spiega in maniera egregia. Però un’osservazione sull’etimologia di “conversione” vorrei farla. Deriva dal latino conversio che a sua volta rimanda a convertere e indica il portarsi da un luogo all’altro, cambiare direzione, volgersi verso qualcuno o qualcosa senza nessuna implicazione etica e morale. Semplicemente un cambio di direzione. È solo l’ambito religioso che introduce una valenza morale di significato, intendendo non un semplice mutamento, ma un mutamento radicale, inaspettato, sempre e comunque migliorativo. La conversione alla quale ci porta la lettura del libro di Umberto Macchi è molto più simile al significato che i filosofi greci le attribuivano: un processo di acquisizione di consapevolezza ontologica ed intellettuale che prelude all’adozione di comportamenti più coerenti e funzionali rispetto ai nostri obiettivi relazionali, sociali o professionali che siano.
U. Macchi, La conversione, questa sconosciuta. Vendere al tempo dei social media, Pacini Editore, 2017, pp. 164, € 19.00