Cattedrale: la materia di cui è fatta la parola
Conoscete Raymond Carver? È uno scrittore americano pazzesco, che si ama o si odia. Non è possibile leggerlo con indifferenza. Cattedrale è il primo racconto che ho letto di questo autore ed è quello che mi ha fatto decidere che è semplicemente un genio. La potenza di questo racconto non è nella trama, o nel modo in cui è scritto, o nel lessico che Carver usa. La potenza del racconto è tutto. È la storia di un uomo, l’io narrante, che intrattiene Robert, un amico non vedente della moglie, che è andato a trovarla a casa loro. Nel corso della serata, la televisione accesa trasmette un documentario in cui si parla di cattedrali e il protagonista deve spiegare all’ospite cieco cosa sia una cattedrale. Tutto qui. Mi rendo conto che possa sembrare una storia banale. In realtà non è né banale né semplice. Carver racconta quasi sempre situazioni normali, piccoli avvenimenti che diventano però un punto di svolta per i protagonisti. In questo caso Robert è l’elemento imprevisto che sovverte completamente il quotidiano che vive il protagonista. Un amico della moglie si inserisce nella loro routine e per di più è cieco. La regolarità di una vita coniugale del tutto ordinaria è scombussolata due volte, dall’ansia dell’attesa dello sconosciuto e dalla necessità di lottare con il pregiudizio della diversità. L’accettazione della diversità non può prescindere dalla costruzione di un codice di comunicazione che consenta di tradurre ciò che si capisce guardando, in qualcosa che possa essere compreso attraverso un racconto, una narrazione che metta nelle parole l’imponenza e la magnificenza di una cattedrale. La sfida è riuscire a raccontare la cattedrale non tanto come un semplice prodotto architettonico, quanto piuttosto dal punto di vista dell’emozione che la sua visione trasmette a chi la guarda. In questo sta la complessità di una relazione tra due mondi che, da soli, non comunicano, la parola e l’immagine. L’unica possibilità è costruire un “sentire” comune che, in questo caso, è nel gesto di disegnare una cattedrale. Il disegno inteso come prodotto non risolve affatto il problema dell’impossibilità della visione.
“Le sue dita guidavano le mie mentre la mano passava su tutta la carta. Era una sensazione che non avevo mai provato prima.”
Ciò che risolve, che supera il disallineamento comunicativo è la condivisione del gesto delle mani, l’atto con cui chi non vede segue e paradossalmente guida, chi fino ad allora ha pensato che vedere fosse possibile solo con gli occhi.
Questa è la chiave di lettura, la costruzione della vera comunicazione che diventa empatia. La volontà di condividere nonostante tutto, superando gli ostacoli che solo la convenzionalità e la mediocrità dei pregiudizi rendono insormontabili. La cecità di Robert è un limite solo nella mente del protagonista. La naturalezza di Robert è ciò che permette di fare il salto di qualità e di capire come qualsiasi condizione possa essere vissuta come un problema o come una potenzialità.
“Poi lui ha detto: ‘Mi sa che ci siamo. Mi sa che ce l’hai fatta’ ha detto. Da’ un po’ un’occhiata. Che te ne pare?”
Queste parole di Robert, il cieco, sono emblematiche. È il protagonista che ce l’ha fatta a superare la prova, perché l’ostacolo in realtà è nella sua testa e non nella cecità dell’amico della moglie.
R. Carver, Cattedrale, Minimum fax, 2002, pp. 230 € 12.00