‘La ballata di Adam Henry’. La responsabilità di una decisione
Fiona Maye è giudice dell’Alta Corte Britannica, in servizio presso la Sezione Famiglia. È molto stimata e capace: agisce nella convinzione di poter restituire
ragionevolezza a situazioni senza speranza.
Ne “La ballata di Adam Henry” di McEwan, Fiona è impegnata su due fronti ‘processuali‘: uno vero e proprio e l’altro che riguarda il suo privato, ovvero un matrimonio che, dopo trentacinque anni, entra improvvisamente in crisi, per colpa dell’abitudine. Il processo vero, invece riguarda Adam Henry, un ragazzino di diciassette anni, affetto da una grave forma di leucemia, che avrebbe bisogno di trasfusioni che però la fede Geova sua e dei genitori rende impossibili. L’ospedale presso cui il ragazzo è ricoverato impugna la situazione e decide di rivolgersi all’Alta Corte per capire se davvero il precetto religioso della famiglia valga di più della legge, la cui applicazione salverebbe la vita ad Adam.
Fiona Maye prende seriamente la questione, al punto da decidere di incontrare il ragazzo per rendersi conto, in prima persona, della sua effettiva consapevolezza relativa alla decisione di rispettare il dogma religioso ai danni della sua stessa vita.
Le religioni, i sistemi morali, ivi compreso il suo, erano come cime di una fitta catena montuosa osservate da una grande lontananza: non ne spiccava una sull’altra né per altezza, né per verità o rilevanza. A chi spettava il giudizio?
Fiona è perfettamente consapevole che, in questo caso, decidere significa imporre la vita o la morte, ma quello che non può prevedere è che le conseguenze della sua decisione, ovviamente a favore della legge, non saranno né a breve termine, né tanto meno in linea con i principi guida che hanno determinato la sua stessa decisione. Ian McEwan ne “La ballata di Adam Henry” mette il lettore di fronte a temi di portata enorme che concernono religione, etica, morale, legalità, buon senso, responsabilità, diritto, libero arbitrio. McEwan racconta la scelta della sua protagonista Fiona, ma non esprime un giudizio di valore. È chiaro da subito e per tutta la durata del racconto che non esiste un’unica possibilità e che ciascuno è libero di interpretare una questione così delicata nel modo che gli sembri più corretto. La domanda è: fino a che punto e con quale legittimazione possiamo intrometterci nella sfera altrui, giudicare e decidere al posto loro? Qual è l’elemento che stabilisce che il nostro punto di vista è più autorevole e più giusto di quello degli altri? Il confine tra oggettività e soggettività, tra libero arbitrio e legalità, tra età e capacità decisionale è molto sottile, a volte addirittura impercettibile. Scegliere non è mai facile e decidere, a volte, lo è addirittura di meno. La vicenda di Adam Henry è una delle tante possibili; è una storia attraverso la quale McEwan pone l’attenzione su temi ben più generali che possono riguardare chiunque.
Perché alla fine scegliere è creare un mondo che senza quella scelta non esisterebbe; l’uomo è creatore e, come tale, deve portare il peso della responsabilità e delle conseguenze che ne derivano.
Adam e Fiona sono due personaggi molto belli e solo apparentemente antitetici e distanti; per noi lettori è veramente difficile scegliere da che parte stare e chi difendere. Sempre che questa valutazione abbia un senso.
Ian McEwan, La ballata di Adam Henry, Einaudi, 2016, pp. 202, € 12.00 (trad. S. Basso)