Legosofia. Apologia filosofica del Lego
Tommaso W. Bertolotti è un ricercatore in filosofia e un appassionato di Lego ed è da questa combinazione di lavoro e passione che nasce l’idea di scrivere “Legosofia. Apologia filosofica del Lego”. Una apologia filosofica per nulla semplice perché, come dice lo scrittore stesso, voleva che
“legosofia non fosse né un libro che parlasse di Lego, usando la filosofia come pretesto, né un libro che spiegasse la filosofia usando i Lego come esempio”.
Direi che Bertolotti è riuscito nell’intento, perché Legosofia propone alcune riflessioni di natura filosofica che derivano dalla oggettiva constatazione dell’esistenza di analogie tra il mondo dei Lego e quello della filosofia.
Legosofia si struttura in tre filoni che corrispondono ai capitoli del libro:
- I Lego sotto l’Acropoli che ripercorre le affinità tra le radici dei Lego e la nascita della filosofia nella Grecia Antica
- Costruire la mente con i Lego che indaga la possibilità di giocare con i Lego attraverso la lente delle scienze cognitive
- La fede nel Lego ovvero la possibilità di parlare non solo di una filosofia del Lego, ma addirittura di una religione
Bertolotti sostiene che i Lego sono classici e Platonici.
Classici, perché qualsiasi attività che abbia come unità di base i mattoncini colorati, è riconducibile ad un principio matematico e geometrico quale quello pitagorico secondo cui “tutto è numero”, ma anche alla “guerra tra gli opposti” di matrice eraclitea, opposti che in questo caso sono rappresentati dal rapporto tra seguire le istruzioni e dare libero sfogo alla creatività.
Platonici, perché l’unità di base che compone le scatole dei Lego, dette Lego City, rimandano al concetto di pòlis dell’Antica Grecia di cui tanto si è occupato Platone nella Repubblica, opera nella quale teorizza il concetto di città giusta. Lego City riproduce una città giusta ma anche autonoma e autosufficiente, nella quale non c’è spazio per il male e per tutto ciò che può essere codificato come disvalore. Anche il rapporto tra originale e copia è di origine platonica. Sappiamo che Platone condannava la copia riconoscendo unicamente l’originale come fonte di conoscenza, ma in questo caso la copia ha una funzione di tramite per arrivare al concetto, all’idea tanto cara al filosofo greco.
“Fantasia e verosimiglianza, libertà e struttura, creatività ed istruzioni, infanzia ed età adulta, sono tutti modi di formulare quel conflitto vitale incorporato in ogni combinazione di mattoncini Lego.”
Che i Lego abbiano una funzione educativa è innegabile e fa davvero effetto che siano definiti un gioco “intelligente” e mai “educativo”. Abbiamo sottolineato come alla base dei Lego stiano sia la matematica che la geometria. Che si scelga la via delle istruzioni o quella della creatività, nulla può essere lasciato al caso. Ogni mattoncino può essere utilizzato in più modi, ma non in qualsiasi modo. Le scatole contengono un numero definito di pezzi, tutti e solo quelli che occorrono per la realizzazione del modello suggerito, comprese le varianti ammesse dalla creatività. In estrema sintesi, con i mattoncini si può fare molto ma non qualsiasi cosa. I Lego educano alla manualità e impongono anche un certo grado di problem solving. Se si commettono degli errori in fase di costruzione occorre essere in grado di riconoscerli per correggerli, così come nel caso dovessero mancare dei pezzi, bisogna acquisire la capacità di pensare a soluzioni alternative. Un esempio concreto di come sia necessaria una sintesi tra la flessibilità nel seguire le istruzioni e la capacità di una creatività disciplinata. Del resto, già ai tempi del filosofo Anassagora (V sec a.C.) si riteneva che “l’uomo è intelligente perché ha le mani” e il mondo dei mattoncini colorati è il mondo della manipolazione cognitiva per eccellenza!
Possiamo sicuramente dire che è innegabile che esista un culto dei Lego.
“Il Lego è diventato un oggetto transmediale: qualcuno può entrare nel mondo del Lego giocando con i mattoncini, oppure con i videogiochi, oppure vedendo i cartoni, o ancora attraverso quei capolavori di animazione concepiti per il grande schermo, come Lego Movie, Lego Batman o ancora Ninjago.”
Quanto alla possibilità che questo culto diventi fede, occorre tenere presente la definizione che ne danno i dizionari, partendo dalla quale si può di certo affermare che
“l’adesione incondizionata rimanda alla passione (che non ha bisogno di essere logica), il complesso dei principi si collega al metodo della costruzione, la rivelazione della verità cui si aderisce è in risonanza con la dimensione collettiva e comunitaria del culto dei Lego.”
A tutto questo si aggiungono “il legame (già etimologico) con la semplice fiducia e (…) l’affidabilità di ciò di cui ci si fida.”
Ho trascorso gran parte della mia infanzia giocando con i Lego e mi divertivo moltissimo, sia quando giocavo da sola sia quando ero in compagnia. Pensandoci adesso, ammetto che lasciavo molto più spazio alla creatività che al seguire le istruzioni, perché avevo una quantità incredibile di mattoncini colorati che avevo mischiato tutti insieme aumentando a dismisura le possibilità di assemblaggio creativo. Amavo moltissimo la fase di costruzione e mi divertiva allo stesso modo modificare, nella forma e nel colore, ciò che avevo costruito. Non ricordo se inventavo storie che si svolgevano all’interno delle mie costruzioni, ma poco importa. Ciò che conta è che ne ho un ricordo bellissimo tuttora e che la lettura di “Legosofia. Apologia filosofica del Lego” ha reso questo ricordo ancora più prezioso.
T. W. Bertolotti, Legosofia. Apologia filosofica del Lego, Il Melangolo, 2017, pp. 141, € 8.00