Futuro artigiano. Valore e dignità del fare e del saper fare
Un libro con un titolo, che potrebbe sembrare contraddittorio. Siamo abituati ad associare il termine “artigiano” a una dimensione passata e quindi il suo utilizzo come aggettivo qualificativo di “futuro” risulta insolito.
Proprio per chiarire questo preconcetto Stefano Micelli scrive “Futuro artigiano”, in cui la domanda alla quale prova a rispondere è come il lavoro artigiano possa rendere competitiva la dimensione manifatturiera in un sistema economico sempre più orientato verso il globale e molto meno focalizzato sulla piccola e media imprenditoria. Lo spunto di riflessione è dato dal “made in Italy” che, da sempre, costituisce un’eccellenza per il nostro paese, ma che, ultimamente non è più al centro dell’attenzione come potenziale opportunità di ripresa economica. Negli ultimi decenni, l’attenzione sia del mondo del lavoro che di quello universitario e della formazione in generale, si è orientata quasi esclusivamente sul concetto di innovazione tecnologica e sull’importanza di competenze manageriali e di marketing giocate a livelli alti, sempre più teorici che pratici. In realtà, tutto ciò ha un senso se, alla base di tutto, rimane un saper fare di matrice artigianale.
Micelli prende in esame alcune eccellenze italiane (Geox, Zamperla, Gucci o Valcucine), che analizza come esempi virtuosi, nei quali l’artigianalità coesiste con l’innovazione tecnologica, della quale anzi rappresenta il nucleo più importante. Alla base del “fare” deve esserci un “saper fare” e la produzione artigianale è proprio la dimensione che comprende i due elementi. Il lavoro artigiano, in Italia, è in grado di coniugare cultura ed economia di un paese che, purtroppo, non sta scommettendo su questo.
I nuovi saperi tecnologici, le moderne competenze manageriali, sono considerate altro e non sono viste come metodi nuovi da utilizzare per la valorizzazione di un patrimonio del fare che tutto il mondo guarda con grande interesse e ammirazione. Tecnica e tecnologia, abilità artigianali e capacità tecnologiche e gestionali possono (e devono) essere la chiave per un rilancio di un passato, quello artigiano, in grado di dare una svolta al futuro, non solo dell’Italia ma delle giovani generazioni.
Già Sennet nel suo libro “l’uomo artigiano” aveva sottolineato, da un punto di vista filosofico e sociologico, il danno che la separazione tra la testa e la mano ha prodotto e continua a produrre. Micelli riprende questo approccio al quale aggiunge l’aspetto economico che non è affatto di secondaria importanza. Il mondo globale ci ha portato, più o meno consciamente, ad allontanarci dalle realtà imprenditoriali che riteniamo insignificanti, per dimensioni e impatto, per guardare a tutto ciò che è grande e lontano da noi. Abbiamo cominciato a decretare il primato della conoscenza astratta-scientifica su quella pratica-artigianale, “come se la teoria potesse tradursi automaticamente in valore economico”. Siamo entrati in un meccanismo formativo e lavorativo tale per cui il futuro e il progresso, il guardare avanti, significano dimenticare il passato che, nello specifico, si identifica con le professioni manuali o artigianali. Questo ha creato anche un pericoloso slittamento nel concetto di lavoro che i giovani di oggi hanno rispetto alle generazioni precedenti. I giovani che oggi hanno vent’anni sono la prima generazione totalmente digitale e per loro fare e saper fare lavori e attività artigiane manuali è una dimensione da scoprire e conoscere. Il senso di tutto questo non è che i giovani debbano diventare tutti artigiani, sarebbe tanto impensabile quanto inutile. Il ragionamento di Micelli è una riflessione di come ciò che è stato in passato possa tuttora essere un motore dell’economia e della modernità.
Artigiano oggi è chi è in grado di saper fare e che fa, accettando la sfida della tecnologia. Essere artigiano non significa rifiutare il nuovo che avanza, ma dimostrare di accettare la sfida tecnologica che permette di innovare e sviluppare il passato con strumenti, materiali e metodi più attuali e più in linea con la contemporaneità. Le nuove tecnologie sono strumenti di lavoro che permettono il rilancio dei “vecchi saperi” solo e soltanto se, alla base di tutto, rimane il saper fare che è il vero motore dell’eccellenza manifatturiera italiana e non solo.
“Quando Ettore Sottsass, celebre designer italiano, è andato alla NASA e gli hanno fatto vedere le componenti delle capsule spaziali, lui, colpito, ha commentato: «Questo posto è pieno di artigiani». L’aneddoto è divertente, perché fa capire come l’high tech che servì per mandare l’uomo sulla Luna fosse in realtà tutto fatto su misura.”
C’è molta intelligenza nel fare e non può esistere il fare senza il saper fare.
S. Micelli, Futuro artigiano, Marsilio, 2011, pp. 220, € 18.00