Punto. Fermiamo il declino dell’informazione
L’informazione oggi non è più unidirezionale, ma pluridirezionale. I vecchi media raccontavano le cose e noi ascoltavamo senza poter interagire e senza poter dire la nostra se non con gli amici e con le persone della nostra quotidianità. L’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione permette a tutti di dare la propria versione dei fatti, di condividere con il mondo il proprio punto di vista e questo indebolisce il concetto di verità. La realtà dei fatti non è più quella che sta, ad esempio, sui giornali; quella è solo una realtà, quella del giornalista che la comunica. Ognuno di noi interpreta i fatti e crea la sua realtà. E questo è vero, a prescindere dal livello di attendibilità dei fatti raccontati. Il problema della attendibilità viene subito dopo.
Una volta, l’informazione era solo quella comunicata, nel bene e nel male, dai “poteri forti”. Oggi esistono la verità individuale e quella basata sul sentito dire. Tutto più complicato quindi dal punto di vista della qualità dell’informazione, ma soprattutto per la validazione delle fonti.
Oggi tutti siamo informatori e tutto è informazione, vera o falsa che sia. La rete ha preso il comando, perché se lo dice la rete è vero. Gli stessi media ufficiali lo ammettono, prestando grandissima attenzione a ciò che succede nella rete.
Sappiamo sempre di più, ma capiamo sempre di meno.
L’antropologo Martino Niola scrive: “Siamo inondati da immagini, notizie, informazioni, agenzie, newsletter, forum, chat, blog, pop-up, che il web sversa su di noi come un fiume inarrestabile.”
Il filosofo Edgar Morin rincara la dose affermando che è vero che la rete promuove una nuova coscienza planetaria, ma è altrettanto vero che la quantità di informazione disponibile, almeno per ora, è inversamente proporzionale alla qualità. Queste considerazioni non sono del tutto errate. Ci sono ambiti in cui la competenza delle persone non è di secondaria importanza. Nel caso della scienza o della medicina, ad esempio, la credibilità e l’autorevolezza di chi parla sono indispensabili; pensiamo, per citare un caso, alla questione dei vaccini di cui tanto si discute. L’approccio dell’essere pro o contro non è informazione, ma la manifestazione di una presa di posizione più o meno condivisibile. Informazione attendibile, in questo caso, è solo quella di chi ha le competenze mediche e scientifiche per parlare. Confondere i fatti con le opinioni è devastante. In questo, come in molti altri casi.
L’opinione (falsa) che diventa informazione si definisce “post-verità” che nel 2016 L’Oxford Dictionary ha definito parola dell’anno. Il significato di post è sia “oltre” che “dopo” e, comunque lo si intenda, oggi contano più le emozioni dei fatti oggettivi, più le suggestioni dei pensieri, più lo storytelling delle storie. Questo è vero non solo nella rete, ma in molti altri ambienti e ambiti.
Un esempio? La questione dell’immigrazione ci viene raccontata in modo sensazionalistico, fatto apposta per suscitare reazioni emotive ben precise. Abbiamo una percezione totalmente sbagliata dei “numeri del problema”. Negli ultimi anni
“ci sono stati più approdi alla cittadinanza che sbarchi sulle coste. Gli immigrati ormai si dividono tra chi si è integrato e chi vaga alla ricerca di un luogo in cui fermarsi a vivere. Ci occupiamo molto – e giustamente – del secondo fenomeno, ma è il primo che sta cambiando il profilo e la natura della nostra società.”
Fa effetto vero? Sapendo che il tempo di attenzione è sempre più breve, occorre colpire nel segno il più rapidamente possibile e, per far questo, funziona molto meglio provocare una reazione emotiva piuttosto che approfondire lentamente cercando di formare una coscienza consapevole. Questo è ancora più vero se si pensa che il livello medio di istruzione degli italiani è piuttosto basso, mentre quello dell’analfabetismo funzionale è molto alto. Lo abbiamo già detto: troppa informazione equivale a nessuna informazione. L’unico difesa che si può attivare con efficacia contro l’infobesità è la consapevolezza. Non esistono leggi né tecnologie che possono
“salvare dall’ignoranza e dalla manipolazione chi non si rende conto di come funziona l’ambiente nel quale vive.”
La manipolazione è un tassello decisivo della disinformazione che, aggiunto al fatto che
“online abbiamo 10 secondi per catturare l’attenzione del lettore e se falliamo il nostro obiettivo, il suo mouse lo porterà sulla pagina di qualcun altro”,
dà origine ad una miscela esplosiva dagli effetti che ben conosciamo. Da non sottovalutare anche il fatto che sempre più spesso i giovani, “pur non credendo a ciò che leggono o che vedono, non esitano a diffonderlo” e sappiamo bene che una delle caratteristiche delle notizie false è che, spesso, le smentite non producono alcun effetto.
Che l’attenzione dei consumatori sia un bene cruciale lo aveva già capito Herbert Simon che, nel 1971 scriveva:
“L’informazione consuma attenzione. Quindi l’abbondanza di informazione genera una povertà di attenzione e induce il bisogno di allocare quell’attenzione efficientemente tra le molte fonti di informazione che la possono consumare.”
Oggi più che mai i media costituiscono la “fabbrica dell’attenzione” che la pubblicità acquista. La scarsa attenzione è l’acceleratore che fa sì che il fine giustifichi i mezzi e che il sensazionalismo abbia la meglio sulla costruzione della consapevolezza. Come dice Alberto Contri, “nutrirsi soprattutto di frammenti diventa pian piano la condizione quotidiana di chi vive immerso nella costante attenzione parziale.” L’attenzione negli adulti funziona esattamente come nei bambini; per catturarla, bisogna essere in grado di raccontare storie che interessino o divertano, in modo tale da far passare in secondo piano qualsiasi elemento di disturbo o interesse divergente. Esattamente ciò che fa lo storytelling. L’eticità o meno del contenuto dipende da chi scrive, ma la capacità di valutare e discriminare ciò che è bene da ciò che non lo è dipende anche, in buona parte, da chi legge.
Sarebbe bello che la parola dell’anno prossimo fosse “consapevolezza”
Paolo Pagliaro, Punto. Fermiamo il declino dell’informazione, il Mulino, 2017, pp. 127, € 12.00