Processo a Ponzio Pilato. Il dramma del giudicare
‘Processo a Ponzio Pilato. Il dramma del giudicare’ è un titolo che non mi ha lasciato scampo: l’ho visto su uno scaffale della sezione storia della mia libreria preferita e non ho potuto non farlo mio. Gherardo Colombo, Francesco D’Alessandro e Antonio Salvati costruiscono questo processo immaginario a Ponzio Pilato:
colui che, per sua sventura, si è trovato di fronte l’innocente per definizione e l’ha condannato. Ma è andata veramente così?
È un libro di poche pagine che costruisce un ipotetico processo, come sarebbe ai giorni nostri, nei confronti di una delle figure, a mio parere, più affascinanti della storia, ma anche della religione.
Che siamo credenti o no, poco importa; sta di fatto che tutto il mistero della vita di Cristo e, in particolare, la parte relativa alla sua crocifissione coinvolge figure di cui si sa poco, ma che sono determinanti per la lettura della vicenda.
Ponzio Pilato, Barabba, Giuda Iscariota hanno un ruolo ben preciso all’interno di una vicenda che non avrebbe mai potuto compiersi senza il loro apporto.
La domanda è: quanta libertà di movimento avrebbero potuto avere senza rendere il tutto addirittura impossibile?
Non si tratta di fare la storia con i se e con i ma, semplicemente di riconoscere che la necessità e, forse, in questo caso occorre dire l’inevitabilità del mistero di Cristo non poteva prescindere da comportamenti già decisi. Se Giuda non avesse tradito, se Ponzio Pilato non avesse assecondato le richieste dei Farisei, se la folla con il primo referendum della storia non avesse liberato Barabba, tutto ciò in cui crediamo (o non crediamo), tutti gli elementi attorno a cui ruota la liturgia cristiana non esisterebbero.
Ciò non toglie che per la giurisprudenza c’è e ci deve essere un margine di azione per il libero arbitrio che non possiamo accettare di azzerare completamente.
‘Processo a Ponzio Pilato. Il dramma del giudicare’ è un libro utile per comprendere proprio come per ogni medaglia ci sia sempre un’altra faccia della quale tenere conto.
Francesco D’Alessandro, nel ruolo del Pubblico Ministero, dimostra, ad esempio, come forse la decisione di condannare Gesù da parte di Ponzio Pilato nascondesse anche qualche piccolo altarino.
Allora è per tutelare se stesso, per tutelare il proprio potere, che si regge insieme a quello dei Farisei del Sinedrio in un mutuo rapporto fatto di reciproche omertà e connivenze, che Pilato preferisce la persecuzione rispetto alle ragioni dell’innocenza; preferisce sacrificare l’innocenza inerme piuttosto che affermare quello che è il suo convincimento di giudice, cioè il fatto che il crimine di lesa maestà non sia stato in alcun modo commesso da Gesù.
L’altro lato del processo è quello della difesa del prefetto della Giudea da parte di Antonio Salvati che ha il compito di smontare le evidenze dell’accusa per sostenere che Ponzio Pilato non avrebbe potuto fare altro che quello che ha fatto.
Insomma, sono duemila anni che il mio assistito viene tormentato senza giusta ragione, anche perché continuamente tirato per la giacchetta – dalla tunica, sarebbe forse il caso di dire – nell’eterno gioco dell’addossare la responsabilità della morte di Gesù di Nazareth ai Romani piuttosto che ai Giudei, con le chiare implicazioni anche politiche che ciò ha avuto nel corso della storia del pensiero occidentale.
Pilato ha provato in tutti i modi a evitare una condanna di cui nemmeno lui capiva il senso, ha fatto di tutto per indurre il Nazareno a difendersi e a proclamare la sua innocenza, ha indetto il primo referendum della storia sperando nell’onestà di valutazione del popolo; la realtà è che Gesù doveva necessariamente essere condannato e in tutta questa vicenda, pertanto, quello di Pilato è un passaggio inevitabile, quasi uno strumento nella volontà del Nazareno e del suo Padre Celeste. Punto di vista che già da solo trasforma Pilato in una vittima e non in un colpevole. Torniamo quindi al comportamento di Ponzio Pilato come a un anello imprescindibile di una catena causale che non poteva in nessun modo essere interrotta.
‘Processo a Ponzio Pilato. Il dramma del giudicare’ è un esercizio processuale molto interessante che vale la pena fare insieme ai tre autori che lo hanno inscenato. È un modo per comprendere come la frase “al di là di ogni ragionevole dubbio” sia alla base del dramma del giudicare proprio perché non è così facile da ottenere. Quante volte riusciamo davvero ad andare al di là di ogni ragionevole dubbio? Quante volte possiamo essere davvero sicuri di aver verificato tutto ciò che andava verificato e che le certezze che abbiamo acquisito siano realmente tali e non solo una possibile interpretazione tutt’altro che al di là di ogni ragionevole dubbio?
G. Colombo, F. D’Alessandro, A. Salvati, Processo a Ponzio Pilato. Il dramma del giudicare, Le Lucerne, 2020, pp. 96, € 11.00