Patrimonio. Una storia vera
‘Patrimonio’ di Philip Roth è un romanzo molto duro, soprattutto, perché, come recita il sottotitolo, è una storia vera. Quella di Herman, il padre dell’autore, che, a 86 anni, si ammala di tumore al cervello, una condizione che non gli lascia nessuna speranza di vita. ‘Patrimonio’ esce in Italia, pubblicato da Einaudi solo nel 2007, ed è, a tutti gli effetti la cronaca della malattia di Herman Roth che Philip fa al lettore con la dovizia di particolari che caratterizza lo scrittore; ha l’abitudine, quasi maniacale, di scrivere tutto fin nei minimi dettagli in modo tale da non lasciare nulla all’immaginazione. In questa vicenda, lo scrittore si trasforma quasi in una madre amorevole e accudente e si fa carico di tutto ciò che occorre fare per assistere il padre in una condizione che subito appare disperata. Nelle pagine del libro, lo scrittore non risparmia di descrivere particolari piuttosto crudi, a volte anche eccessivi, ma credo questo modo di raccontare sia anche un po’ un voler esorcizzare una situazione davvero molto pesante.
In fin dei conti, fino all’età di 86 anni e fino prima che si manifestasse questa tragica malattia, Herman è un anziano pieno di vita, con la voglia di raccontare e condividere il suo patrimonio, quello che dà il titolo al libro: ha la volontà di raccontarsi e di raccontare il proprio passato, come era la città di Newark agli inizi del 900, come erano il mondo ebraico, la sua famiglia, le esperienze di vita, sentimentali e di lavoro, che avevano caratterizzato una parte della sua storia.
Il grosso tumore al cervello che sopraggiunge, così all’improvviso, rappresenta una brutta battuta d’arresto; la voglia di vivere lascia il posto alla quotidianità della malattia e al dolore che inevitabilmente comincia a caratterizzare e a scandire le giornate di padre e figlio. La mancanza di indipendenza di Herman è l’aspetto più difficile da gestire e comincia proprio da questa nuova condizione la mutazione del carattere di un padre che non riesce ad accettare la sua nuova condizione.
Non racconterò altro della trama di ‘Patrimonio’, dico solo che racconta l’intimità del dolore, della malattia, della morte. Nel reportage che Philip Roth fa del percorso-calvario del padre emerge tutta la fatica di una condizione totalizzante caratterizzata dall’impotenza e dalla consapevolezza della irreversibilità di una situazione che costringe solo ad aspettare che ciò che deve accadere accada. Ma emerge anche tutto l’amore che caratterizza un rapporto padre figlio, la volontà di non sprecare nessun momento dei pochi che rimangono, il desiderio di recuperare attimi che, in condizione di salute, si danno per scontati, ma che non lo sono affatto.
Anche un passato che si desiderava dimenticare diventa invece un tassello importante da raccontare e da racchiudere nella memoria, un patrimonio, appunto. Perché, come scrive l’autore in chiusura,
non bisogna dimenticare nulla del passato, delle proprie origini, delle generazioni che ci hanno preceduto. Per questo Herman, l’assicuratore ebreo, sarebbe rimasto vivo non soltanto come mio padre, ma come «il» padre, per giudicarmi qualunque cosa io faccia.
Philip Roth racconta un pezzo importante della sua autobiografia e lo fa con uno stile secco, essenziale, spesso duro, così come il linguaggio che usa non lascia spazio all’immaginazione. È un presente che continuamente richiama, attraverso flashback il suo passato e quello del padre. Un presente tragico che si incastona in un passato vitale che non può essere dimenticato.
Un libro molto duro, ma che consiglio di leggere, perché è uno spaccato di vita di fronte al quale non è facile essere forti ed è impossibile rimanere indifferenti.
P. Roth, Patrimonio, Einaudi, 2009, pp. 187, € 16.50 (trad. V. Mantovani)