“Meglio essere felici” non è un’affermazione ovvia
“A proposito della felicità, esiste soltanto una frase che possiamo pronunciare con la massima certezza e che di solito ci vede universalmente d’accordo. La frase suona: ‘meglio essere felici che infelici’. Tutto il resto è controverso.”
Questa è l’unica affermazione che troviamo nel libro di Bauman “meglio essere felici”; per il resto, ci troviamo coinvolti in un percorso costruito molto più da domande che da risposte. Nel dire questo, mi viene in mente Sant’Agostino in un famosissimo passo delle Confessioni: “Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so. Così, in buona fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe il tempo passato, e se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe il tempo futuro, e se nulla fosse, non vi sarebbe il tempo presente.” In effetti, questa non è affatto una definizione di cosa sia il tempo, ma una semplice constatazione oggettiva dei fatti. Lo stesso accade quando cerchiamo di dare una definizione del concetto di felicità. Se pensiamo a cosa sia la felicità lo sappiamo, ma se cerchiamo di definirla, le cose si complicano e, il più delle volte, lo facciamo per differenza. Descriviamo il nostro concetto di felicità, partendo da cosa non è per noi. Ad esempio, diciamo che felicità è assenza del dolore e sappiamo cosa sia “assenza di dolore” solo dopo aver provato il dolore. Guardando le infinite definizioni della felicità, che sono state date nei secoli da tutti coloro che hanno affrontato questo concetto, ne ricaviamo un panorama talmente variegato e talora addirittura contraddittorio, che la conclusione alla quale arriviamo è che non esista una definizione univoca e universalmente condivisa. Pur senza dare la sua definizione, Bauman ne individua due categorie essenziali. La prima è relativa alla condizione di chi non ha più nessuna sfida da porsi, perché ha già raggiunto tutti gli obiettivi e si trova in uno stato di totale appagamento e realizzazione. La seconda è invece quella di chi ha la capacità di convivere con le proprie difficoltà e cerca il modo di superarle. In questo secondo caso quindi, felicità non è non avere problemi, ma acquisire gli strumenti per affrontarli e superarli.
“Vi ho presentato queste due categorie: ora fate la vostra scelta!”
Ebbene sì. La felicità è una scelta. La difficoltà vera, nel discutere il tema della felicità, “è che il sentimento che se ne ha è fondamentalmente soggettivo.” La percezione della felicità è soggettiva così come anche la scelta della felicità è soggettiva. Non dimentichiamo che Bauman era un sociologo, e che sociologo!
Ecco perché ritiene indispensabile spiegare quale sia la connessione tra la società e la felicità. Siamo liberi di scegliere la felicità, ma dobbiamo essere consapevoli che esiste un fattore che stabilisce i parametri in base ai quali possiamo “scegliere” di essere felici. Bauman si riferisce al “destino”, termine con il quale definisce tutto l’insieme dei fattori sui quali non possiamo esercitare il nostro controllo o la nostra influenza. Un altro elemento è il “carattere”, ovvero quell’entità che opera concretamente la scelta tra il ventaglio di opportunità messe a disposizione di ciascuno di noi dal destino. Per fare un esempio, essere in Italia comporta la possibilità di scegliere tra un ventaglio di ipotesi ben diverso da quello che avremmo se fossimo in Bangladesh.
Il problema vero nasce nel momento in cui carattere e destino entrano in conflitto. Questo capita ogni volta che ci convinciamo di poter raggiungere qualsiasi obiettivo, ma veniamo bloccati dal contesto. Ogni volta che la formale uguaglianza sociale permette di confrontarci con chiunque e ci convince che abbiamo il diritto di raggiungere lo stesso livello di felicità della persona che abbiamo scelto come nostro termine di paragone. La ricerca della felicità ha come effetto collaterale l’infelicità. Ogni volta che non riusciamo a raggiungere la felicità, siamo obbligati a vivere l’esperienza del suo contrario. O siamo felici o siamo infelici.
“Una società nella quale ciascuno ha il diritto di considerarsi uguale a tutti gli altri è, di fatto, incapace di uguaglianza. Il carattere entra in conflitto con il destino”
La diffusione e la pervasività dei social network amplificano questo rischio, perché ci permettono di entrare in connessione con chiunque e di assumere come modelli persone che, di fatto, sono totalmente altro da noi per esperienza di vita, per contesto sociale, per carattere, per destino. Quando il contesto relazionale era circoscritto all’ambiente di appartenenza, sia sociale che culturale, era decisamente più facile porsi degli obiettivi “raggiungibili”. Nella realtà attuale, l’eliminazione di questo confine ha aumentato in modo considerevole il rischio di fallimento come ovvia conseguenza dell’essersi dati obiettivi sovradimensionati rispetto alle proprie reali competenze e possibilità. Possiamo continuare a chiamarla, con terminologia tecnica, “discriminazione relativa”, nella consapevolezza che il termine di paragone, per ciascuno di noi, è diventato, potenzialmente, tutto il resto del mondo, tutto l’altro da noi. Questa la motivazione per cui la vera grande paura che ossessiona tutti è l’inadeguatezza, il timore di non essere all’altezza delle aspettative. È vero che un obiettivo deve avere un contenuto sfidante e non essere troppo ‘abbordabile’, ma non può e non deve essere irraggiungibile, perché sovradimensionato rispetto alle possibilità di chi se lo pone come obiettivo. Questo è solo uno degli spunti di riflessione che scaturiscono dalla lettura di queste poche ma intense pagine. Vorrei proporvi un brano, tratto sempre da questo piccolo trattato, come spunto di riflessione con la speranza di incuriosirvi ulteriormente:
“Oggi noi tutti abbiamo internet, tutti abbiamo gli smartphone. Possiamo entrare e sbirciare nella vita degli altri. Anzi, piuttosto spesso siamo obbligati a curiosare nella vita delle celebrità, delle star alla moda sotto i riflettori. Probabilmente anche persone abbastanza ricche, che possono fare acquisti dispendiosi, vivono in questo modo. Questo è il modello di vita che molti mezzi di comunicazione di massa ci consigliano di adottare. Per descrivere tale stile di vita userò una formula concisa: comprare con i soldi che non si sono guadagnati cose di cui non abbiamo bisogno per fare una buona impressione – che non durerà – a persone di cui non ci importa nulla. Questa, più o meno, è la logica del nostro tempo”.
È una affermazione molto forte, una vera provocazione. È davvero solo una provocazione o c’è qualcosa di vero?
Z. Bauman, meglio essere felici, Castelvecchi, 2017, pp. 43, € 5.00