Cambiare l’acqua ai fiori
‘Cambiare l’acqua ai fiori’ è un libro che ho preso in mano più e più volte prima di decidere di leggerlo; non so perché, ma non mi convinceva fino in fondo, forse perché ne parlavano e ne parlano tuttora praticamente tutti. Di solito non sono subito attratta dai cosiddetti casi editoriali e questo libro è acclamato – dopo averlo letto ne capisco i motivi – come tale. Alla fine ho ceduto, ho aperto la prima pagina e ho iniziato il primo paragrafo:
I miei vicini non temono niente. Non hanno preoccupazioni, non si innamorano, non si mangiano le unghie, non credono al caso, non fanno promesse né rumore, non hanno l’assistenza sanitaria, non piangono, non cercano le chiavi né gli occhiali né il telecomando né i figli né la felicità. Non leggono, non pagano le tasse, non fanno diete, non hanno preferenze, non cambiano idea, non si rifanno il letto, non fumano, non stilano liste, non contano fino a dieci prima di parlare, non si fanno sostituire.
Non sono leccaculo né ambiziosi, rancorosi, carini, meschini, generosi, gelosi, trascurati, puliti, sublimi, divertenti, drogati, spilorci, sorridenti, furbi, violenti, innamorati, brontoloni, ipocriti, dolci, duri, molli, cattivi, bugiardi, ladri, giocatori d’azzardo, coraggiosi, fannulloni, credenti, viziosi, ottimisti.
I miei vicini sono morti.
L’unica differenza che c’è fra loro è il legno della bara: quercia, pino o mogano.
A raccontare la sua storia è Violette Toussaint, la guardiana di un piccolo cimitero di un paesino della Borgogna, abitato dalle persone descritte nelle righe che ho riportato e che costituiscono l’incipit di ‘Cambiare l’acqua ai fiori’. Svolge questo compito con dedizione, pulisce le lapidi, trascrive i discorsi commemorativi che vengono pronunciati dai parenti durante le esequie, si prende cura dei morti e dei vivi, per i quali ha sempre una parola di conforto, coltiva l’orto, pranza con il parroco, scherza con i colleghi manutentori, fa la parte del fantasma quando, di notte, i ragazzini si intrufolano nel cimitero in cerca di emozioni forti. Una vita ordinaria sempre uguale a se stessa, fino a quando arriva il commissario Julien Seul, al quale la madre, morta a chilometri di distanza da quel paesino, ha comunque espresso il desiderio di essere sepolta lì, accanto a Gabriel Prudent, sconosciuto al figlio fino a quel momento.
L’incontro tra Violette e Julien imprime una svolta a tutta la vicenda che diventa il racconto delle storie di vita dei personaggi che la compongono.
Chi è Violette? Qual è la sua storia? E il commissario Julien? Qual è il rapporto con la madre che evidentemente conosce pochissimo?
È a questo punto che scopriamo il passato della protagonista, perché mentre lo racconta a Julien lo racconta a tutti noi lettori. Le dimensioni spazio temporali si dilatano e scopriamo che la vita di Violette non è stata per nulla semplice; ce la descrive dall’inizio senza tralasciare nulla. Ci coinvolge nei fatti e negli stati d’animo che hanno caratterizzato la sua esistenza; ci rende partecipe del bello e del brutto della sua vita, nella convinzione che
siccome l’infelicità non mi era mai piaciuta ho deciso che non sarebbe durata. La sfortuna deve pur finire prima o poi.
È attraverso questo filtro di positività che veniamo a conoscenza di un passato che si dipana intrecciandosi inevitabilmente con il presente. Tutto quello che Violette è adesso dipende da quello che è stata e dalle esperienze che ha vissuto e subíto. Ce lo fa scoprire poco a poco, attraverso un intreccio e un’alternanza spazio temporale che ci permettono di seguire l’evoluzione della sua vita che, finalmente sembra aver raggiunto un punto di pace. Non voglio svelare nulla della trama, perché sarebbe impossibile farlo senza compromettere il piacere della scoperta di questo personaggio così ben costruito da Valérie Perrin.
Violette è un personaggio solo apparentemente semplice; si racconta con grande naturalezza, ma dalle sue parole traspaiono tutti i sentimenti che hanno caratterizzato la sua vita. Ci sono la felicità e la tristezza, la solitudine e la complicità, il coraggio delle parole e la forza del silenzio.
Un romanzo senza dubbio particolare che lascia il segno. Il piccolo cimitero di Brancion-en-Chalon diventa il mondo nel quale anche io, come lettrice, mi sono trasferita per tutte le 476 pagine del romanzo. Leggere questa storia significa comprendere la complessità di ciascuno di noi; siamo fatti delle parole che diciamo, di quello che raccontiamo, ma anche delle esperienze che custodiamo dentro di noi, sperando che chi ci ama abbia il coraggio di andare oltre le parole per far parlare i nostri silenzi.
V. Perrin, Cambiare l’acqua ai fiori, E/O edizioni, 2019, pp. 476, € 17.10 (trad. A. Bracci Testasecca)