Fiori sopra l’inferno
Tra i boschi e le pareti rocciose a strapiombo, giù nell’orrido che conduce al torrente, tra le pozze d’acqua smeraldo che profuma di ghiaccio, qualcosa si nasconde. Me lo dicono le tracce di sangue, me lo dice l’esperienza: è successo, ma potrebbe risuccedere. Questo è solo l’inizio.
Questo è anche l’inizio del thriller “Fiori sopra l’inferno” di Ilaria Tuti, l’autrice italiana che si affaccia con questa storia al panorama del giallo italiano. Autrice donna come la protagonista di questa indagine dall’ambientazione un po’ insolita. Teresa Battaglia si trova di fronte a uno scenario che non lascia presagire nulla di buono; fino a quel momento c’è un solo cadavere, ma la sua esperienza le dice che non sarà l’ultimo. Al di là della trama che non racconto perché, di fatto, si snoda attraverso tutte le pagine del libro, dalla prima all’ultima, è molto interessante l’architettura con cui Ilaria Tuti ci affianca al Commissario Teresa Battaglia. Il racconto apre almeno due finestre temporali che raccontano fatti che si collocano in momenti diversi, che apparentemente non hanno alcun collegamento tra loro, ma che, di fatto, creano la suspence, la tensione e la curiosità con cui il lettore è trascinato a Travenì, il piccolo paese di montagna in cui tutto accade. Ma Ilaria Tuti fa ancora di più: costruisce i personaggi di questo thriller ciascuno con una caratterizzazione precisa e importante per andare oltre i fatti di sangue in sé. La storia, di pura invenzione, serve all’autrice e al lettore per affrontare temi che riguardano la natura umana, specie il lato più oscuro che ciascuno di noi ha, senza eccezioni:
«innocui» ripetè, rimestando le sillabe sulla lingua come avessero un sapore cattivo. «La natura non ha dotato nessuno dei suoi figli di innocuità, capo Knauss, o avrebbe fallito»
Una affermazione forte che potrebbe anche innervosire il lettore, ma che ha una sua ragion d’essere nell’esperienza che Teresa Battaglia ha del suo lavoro che l’ha obbligata, fin dagli inizi della sua lunga carriera, a fare i conti proprio con la natura umana. Nulla accade per caso e sempre le ragioni remote e profonde dell’atteggiamento violento e agghiacciante di chi uccide, non importa quante volte, sono da ricercare nella parte affettiva ed emotiva di ognuno di noi.
Per mettere in evidenza il tema della natura umana e per indagare al di là della storia di morte, Ilaria Tuti affianca a Teresa Battaglia l’ispettore Massimo Marini, un novellino che di profiling non sa niente e nemmeno ne intuisce la complessità, ma che ha curiosità, voglia di fare bene e soprattutto rimane affascinato dal commissario.
«Forse loro vedono il mondo meglio di noi. Vedono l’inferno che abbiamo sotto i piedi, mentre noi contempliamo i fiori che crescono sul terreno. Il loro passato li ha privati di un filtro che a noi invece è stato concesso. Questo non vuol dire che abbiano ragione a uccidere, o che io li giustifichi.»
«E allora che cosa significa?»
«Che in un lontano passato hanno sofferto e quella sofferenza li ha trasformati in ciò che sono. Io questo non lo posso dimenticare.»
“Fiori sopra l’inferno” è un romanzo d’esordio di grande maturità con cui Ilaria Tuti parla di morte, ma racconta la vita con tutte le gioie e le fatiche. Teresa Battaglia è una protagonista che sa cosa vogliono dire la solitudine, il dolore, ma che sa di essere un punto di riferimento e proprio per questo di avere grandi responsabilità. È un personaggio che assomma su di sé le contraddizioni del vivere: è donna forte e fragile, sicura e confusa, determinata e spaventata, autoritaria e “chioccia”, fredda, ma allo stesso tempo comprensiva e umana, molto umana.
“Fiori sopra l’inferno” merita attenzione per la trama, i personaggi, l’ambientazione e il modo in cui è scritto. Non mi meraviglia affatto che, con questo romanzo, Ilaria Tuti abbia ricevuto la Menzione Speciale al Premio Giorgio Scerbanenco.
I. Tuti, Fiori sopra l’inferno, TEA, 2019, pp. 368, € 5.00