“Caro Michele”. Lettere al ragazzo lontano
Natalia Ginzburg scrive “Caro Michele” nel 1973, un periodo molto significativo per l’autrice e per il suo coinvolgimento politico. Il racconto si apre nel dicembre del 1970, si chiude nell’estate del 1971 e racconta la storia di una famiglia di quegli anni, completamente sfasciata, ma che conserva comunque il senso di quel legame affettivo che c’era stato un tempo quando c’era anche l’unione. È un romanzo misto, in cui trentasette lettere interrompono nove momenti narrativi. Le lettere sono scritte a e da Michele, soprattutto dalla madre Adriana che cerca in questo modo di esorcizzare il suo fallimento. Le altre due donne che scrivono al ragazzo sono la sorella Angelica e Mara Castelli, una ragazza approfittatrice ma ingenua, con la quale Michele ha avuto un rapporto che forse lo ha reso padre. Osvaldo è la figura maschile che parla e scrive poco, ma che ha un ruolo importante, soprattutto nelle parti narrative.
È un libro di grande levatura per molti motivi, a partire dal titolo. La Ginzburg sceglie “Caro Michele”, perché è lui il personaggio attorno a cui ruota tutta la vicenda: i fatti che vengono raccontati riguardano lui e la sua famiglia, le lettere sono tutte indirizzate a lui e alcune, poche, sono scritte di suo pugno. Tutto questo renderebbe la scelta del titolo ovvia, se non fosse che proprio lui è il grande assente. Michele è lontano dalla famiglia, dalla madre, dalle amicizie, dall’amore e le lettere sono l’espediente letterario e narrativo con cui Natalia Ginzburg descrive l’assenza, la lontananza, la mancanza.
Le chiavi interpretative con cui si può affrontare “Caro Michele” non sono certo insolite dal punto di vista dei contenuti. L’autrice compie un’operazione stilistico narrativa straordinaria. Adriana non ha il telefono e l’unico modo che ha per comunicare con il figlio è scrivergli; lei scrive molto, Michele risponde poco, pochissimo. Le lettere sono racconti di uno spaccato di vita che riguardano la quotidianità, la normalità e a volte la banalità delle situazioni di tutti i giorni. Adriana e, come lei, Angelica e Mara scrivono come se parlassero. Le frasi sono brevi e il lessico è colloquiale, non letterario. Il registro della scrittura equivale a quello del parlato ed è proprio in questo modo che la Ginzburg esorcizza la distanza, la mancanza, l’assenza della fisicità e dello sguardo che caratterizzano la conversazione. Le lettere servono a mantenere quel sottile legame tra i personaggi di questa storia che, di fatto, sono personaggi soli, chiusi nel loro mondo caratterizzato dal silenzio della incomunicabilità.
Adriana, Angelica e Mara raccontano a Michele i fatti che scandiscono le loro giornate come una cronologia che ciascuno di loro propone secondo la “prospettiva laterale” tipica del punto di vista. Natalia Ginzburg ci racconta Michele senza Michele; costruisce una rete epistolare capace di evidenziare l’incapacità comunicativa tra le generazioni delle madri e dei figli rappresentati in modo emblematico da Adriana e Michele. Solo una autrice dello spessore di Natalia Ginzburg, profonda conoscitrice dell’opera di Proust, poteva fotografare l’incomunicabilità attraverso la struttura di “Caro Michele”. Una paratassi spinta all’estremo, uno stile essenziale, un lessico elementare sono gli elementi che le permettono di descrivere una situazione scarna e quasi completamente priva di emozioni; una realtà
“la quale non permette lo sfogo dell’emotività (il cui segno è l’aggettivo) poiché sono venuti meno i sostantivi che meritano di essere qualificati.”
Sapete qual è la cosa davvero paradossale? Che è proprio lo stile, che tenta di negare i sentimenti, a mettere in evidenza quelli che caratterizzano l’intera vicenda: la solitudine e la malinconia dell’incomprensione e dell’incomunicabilità.
“Tu dici che non vuoi sulla tua persona, in questo momento, gli occhi delle persone che ti amano. E’ infatti difficile sopportarli, gli occhi delle persone che ci amano in un momento difficile, ma è una difficoltà che si supera rapidamente. Gli occhi delle persone che ci amano possono essere nel giudicarci estremamente limpidi, misericordiosi e severi, e può essere duro ma in definitiva salutare e benefico per noi affrontare la chiarezza, la severità e la misericordia.”
N. Ginzburg, Caro Michele, Einaudi, 2006, pp. 192, € 11.00