La versione di Fenoglio. L’arte di investigare è l’arte di costruire storie
Ammetto che la prima volta che ho visto “La versione di Fenoglio” in libreria ho pensato che si trattasse di Beppe Fenoglio e va da sé che la curiosità di sapere che cosa dicesse di lui Gianrico Carofiglio mi ha spinto a prendere in mano il libro per leggerne il risvolto di copertina.
Ho visto subito che non si trattava di ‘quel‘ Fenoglio, ma ormai la lettura era iniziata e, aggiungo, per fortuna.
Carofiglio racconta la storia di Pietro Fenoglio, un carabiniere sessantottenne ormai alla fine della sua carriera che, durante la riabilitazione a seguito di un intervento di protesi all’anca, conosce Giulio, un ragazzo ventenne, anche lui lì per lo stesso motivo. Due vite che, all’apparenza, non hanno nulla in comune se non una protesi che richiede una riabilitazione.
Nella palestra in cui entrambi fanno gli stessi esercizi guidati da Bruna, i due protagonisti diventano amici; un’amicizia non convenzionale, di circostanza, ma autentica che insegna loro non solo a imparare di nuovo a camminare, ma anche a raccontare e raccontarsi.
“Le storie non esistono se non vengono raccontate”.
Una verità questa dalla quale Pietro e il ragazzo cominciano a raccontarsi e scoprono che poi così diversi non sono. Fenoglio ha molte storie da raccontare che non sono solo quelle dei protagonisti, ma anche la sua, perché le storie degli altri sono sempre un po’ anche nostre. Giulio è giovane, a pochi mesi dalla laurea, nel momento della vita in cui sa che deve diventare definitivamente adulto e scegliere il suo futuro. Avrebbe voluto frequentare una facoltà umanistica, ma il padre, avvocato, gli ha imposto di seguire le sue orme. A Fenoglio, da giovane, era successa la stessa cosa; frequentava la facoltà di lettere, ma il padre carabiniere lo aveva iscritto a sua insaputa al concorso per diventare maresciallo dei carabinieri. Un primo tentativo di ribellione, ma eccolo qui dopo quarant’anni o poco meno di carriera nell’arma.
“Ci sono vari modi di guardare il mondo e gli altri. Il più diffuso consiste nell’assegnare delle etichette e attenersi rigorosamente a esse. Il meccanismo ha una sua micidiale semplicità. Assegnamo l’etichetta e , da quel preciso momento la utilizziamo per osservare l’oggetto etichettato. Diventa uno strumento di selezione degli stimoli che arrivano alla nostra mente e, addirittura, ai nostri sensi. Vediamo, percepiamo ciò che corrisponde all’etichetta e scartiamo ciò che la contraddice.”
Pietro Fenoglio è ossessionato dalle divergenze, perché sono l’unico modo per uscire dal meccanismo. Investigare, scoprire la verità delle persone e delle cose significa questo, uscire dalla “micidiale semplicità del meccanismo”.
Gianrico Carofiglio, con il suo personaggio, mette a fuoco l’importanza dell’amicizia, dell’onestà del vivere, della capacità di andare a fondo senza perdere l’umanità; l’indispensabilità di ascoltare prima di parlare, raccontare, scrivere.
Investigare significa ricostruire storie, scrivere è fare la stessa cosa: ricostruirle, talvolta, più spesso costruirle. Nell’una e nell’altra attività, la prima operazione deve essere sempre ascoltare, prestare attenzione alle parole, alle espressioni agli atteggiamenti di chi parla, perché solo così si può andare oltre il pregiudizio e il pericoloso inganno potenziale delle apparenze. Investigare sul crimine è un po’ come indagare la vita. Fenoglio racconta a Giulio alcuni casi di investigazione che lo hanno particolarmente segnato, perché da essi ha imparato molto della vita e delle persone. Sì, perché ogni indagine riguarda fatti e persone, soprattutto persone.
“Vedi, mai come oggi a me sta a cuore che dalle cose che scrivo venga fuori il profilo di un uomo sempre animato dal dubbio e dalla consapevolezza della propria fallibilità. E che emerga il rispetto per gli altri: per tutti gli altri, anche quelli che sono diversi da noi, anche quelli che hanno commesso errori”.
Il rispetto della diversità, l’ammissibilità dell’imperfezione che può portare all’errore, la volontà di comprendere prima di giudicare, la necessità di essere sicuri delle conclusioni alle quali si arriva sono le regole investigative di Fenoglio, che valgono anche per il vivere. Il segreto sta tutto (o quasi) nella capacità di porre a se stessi e agli altri buone domande e di ascoltare le risposte. Risposte che sono fatte delle parole dette ma anche e soprattutto di quelle omesse.
Secondo Pietro Fenoglio “adeguarsi con l’intelligenza delle cose al mondo che ci sta intorno” è quello che serve per campare dignitosamente, ma occorre imparare a farlo rimanendo ben dritti, con il mento alzato e guardando in faccia il mondo. Perché, come avverte Bruna la fisioterapista, stare ben diritti non è solo una questione di postura fisica, ma è anche una questione di postura morale. “Significa accettare la responsabilità di esser vivi”.
G. Carofiglio, La versione di Fenoglio, Einaudi, 2019, pp. 170, € 16.50