‘Luna di miele’. La versione noir di Scerbanenco
“Un sacerdote con qualche peccato sulle spalle, don Paolo, assiste alla drammatica fine di un matrimonio. La giovane Lena si fa sposare con l’inganno da Alberto, un uomo energico ma debole di carattere, costringendolo a lasciare la donna di cui è innamorato, Eva. Scoperto l’imbroglio, il matrimonio si consuma in anni di frustrazione quotidiana finché Alberto, in un raptus violento, uccide Lena per scappare finalmente con Eva.”
“Luna di miele” di Giorgio Scerbanenco inizia quando tutto questo è appena successo. Don Paolo scopre il cadavere e sospetta subito di Alberto che vede seduto da solo e sconvolto al bar. Mentre la polizia indaga, il prete, che è anche la voce narrante del romanzo, inizia a seguire gli amanti per cercare in qualche modo di aiutarli o, se non altro, di salvare le loro anime. Tutto il racconto si svolge in una angusta pensione nella quale si rifugiano i due amanti e Don Paolo insieme a loro. Giorgio Scerbanenco scrive questo noir nel 1944, mentre era prigioniero da più di un anno in un campo profughi svizzero, in condizioni terribili sia fisiche che psicologiche. Amico dello scrittore, durante la prigionia, era diventato un sacerdote ed è proprio grazie al loro rapporto che il protagonista del romanzo è un prete. Non è certo un romanzo d’azione e, per giunta, il lettore sa esattamente da subito che il motore della narrazione è un delitto passionale. È un thriller caratterizzato da una forza narrativa straordinaria, nel quale il lettore rimane incollato alle pagine nonostante il colpevole sia ovvio e praticamente dichiarato dall’autore stesso. La grandezza narrativa di Scerbanenco sta nella scelta della voce narrante e nel labirinto di implicazioni psicologiche nel quale il lettore viene risucchiato e dal quale non riesce a uscire fino al finale che, al contrario, è del tutto imprevedibile. La prospettiva della narrazione è sempre in soggettiva, nel senso che in nessun momento il lettore è di fronte a una ricostruzione oggettiva, cronachistica di ciò che è accaduto e che sta succedendo. Il punto di vista è sempre di uno dei personaggi, Alberto, Lena, Eva e lo stesso Don Paolo. Ciascuno di loro racconta le proprie ragioni, ammette i propri errori, si aggrappa alle proprie giustificazioni in un alternarsi continuo di angoscia e serenità, follia e razionalità, lucidità e rabbia, colpevolezza e innocenza. Anche la scelta della voce narrante da parte dell’autore è un colpo di genio. La figura del sacerdote non è casuale e rappresenta un punto di vista fortemente connotato. Don Paolo è un sacerdote tormentato e ossessionato dal peccato, suo e dei suoi fedeli. Ha una fede solida, a tratti bigotta, che non gli permette di vivere la serenità della propria coscienza. Il suo racconto costruisce un mix perfetto tra realtà e immaginazione, tra oggettività e pregiudizio, tra spiritualità e religione. Le 170 pagine che raccontano questa “Luna di miele” mettono il lettore di fronte a una situazione contingente e fortemente situata che può, allo stesso tempo, essere considerata un esempio di una realtà che forse si può definire universale. Universale non nel senso di totalizzante e irreversibile, ma nel senso di diffusa e senza tempo. In questo romanzo leggiamo di un delitto passionale come ce ne sono tanti, forse troppi. “Luna di miele” descrive una realtà frequente ai nostri giorni che, sempre più spesso, si conclude allo stesso modo creando una degenerazione sociale che definiamo femminicidio. Ma ancora più universale è la difficoltà di creare una linea di demarcazione netta e inattaccabile tra il bene e il male, tra la causa e l’effetto, tra l’innocenza e la colpevolezza.
Di nuovo una precisazione. In nessun momento il lettore ha il dubbio che l’inganno, il peccato o il delitto non vadano condannati e puniti.
Quello che emerge in modo prepotente è il punto di vista. Ed è proprio attraverso il punto di vista che, di volta in volta, i protagonisti di questo romanzo meraviglioso sono vittime e colpevoli. All’origine di questo delitto passionale c’è l’inganno. Inganno di cui Lena è colpevole e Alberto vittima, quello stesso inganno in virtù del quale Alberto diventa colpevole e Lena vittima. Don Paolo, la voce narrante, non è a sua volta immune dalla situazione, perché lui ha unito in matrimonio Alberto e Lena, lui ha ritenuto che il matrimonio riparatore potesse mettere a tacere gli animi e relegare definitivamente nel passato i veri sentimenti dei tre personaggi di questa storia, lui ha compiuto il gesto che ha legittimato l’inganno e ha reso impossibile un rapporto onesto tra moglie e marito. Matrimonio che forse non avrebbe dovuto celebrare… Ed Eva? Quale la sua posizione in questo triangolo amoroso?
Adoro la scrittura di Giorgio Scerbanenco e ringrazio La Nave di Teseo per averlo ripubblicato e per averlo reso di nuovo disponibile.
G. Scerbanenco, Luna di miele, La nave di Teseo, 2018, pp. 174, € 17.00